Focus: in Lombardia un ottimo olio d’oliva dalle radici profonde

Negli ultimi anni in Lombardia si è registrato un vero e proprio boom della coltivazione dell’ulivo e soprattutto della produzione dell’olio d’oliva.

L’area dei laghi prealpini, che pur rientrando in una zona continentale, di primo acchito non sembrerebbe ideale per questo tipo di coltivazione, in realtà gode di un particolare microclima, che ha contribuito a far crescere e prosperare questa pianta. Un grosso merito va all’acqua del lago, che funzionando da serbatoio di calore e umidità, consente a terreni fertili di origine morenica di ospitare persino colture d’origine sub tropicale, come oleandri, viti, agrumi e ulivi.

La coltivazione dell’olivo, sulle sponde dei principali laghi lombardi, non è una novità o un particolare esperimento degli ultimi anni, ha in realtà origini antichissime, certamente di età preromana, come testimoniato da numerosi documenti storici e dal ritrovamento dei resti di antichi frantoi.

Nel corso dei secoli la produzione dell’olio insubre e in particolare quella lungo le coste dei laghi lombardi, ha mostrato andamenti altalenanti, come nel resto della penisola.

Nel caso del lago di Como è il poeta Claudiano, del IV secolo d.C., a descrivere le sponde lariane come circondate da dense fasce di oliveti. Nel periodo delle invasioni barbariche l’olio non è più utilizzato, né come alimento, né per rituali religiosi.

Sul Lario come sul Ceresio, Verbano, Sebino e Benaco vi è invece una ricca documentazione a partire dall’epoca longobarda che ci informa di una diffusa coltura olivicola, finalizzata però non tanto all’uso alimentare quanto all’uso per le lampade votive.

In particolare quello del lago di Como era conosciuto anche come “l’olio dei Longobardi”. Un richiamo al fatto che la corte reale di Pavia dell’antico popolo si serviva esclusivamente dell’olio di oliva prodotto sul Lario e molto probabilmente anche per usi alimentari. Interessante sapere come i Longobardi abbiano legato il loro nome a questo prodotto della terra, verso il quale avevano una vera e propria adorazione. Non soltanto lo consideravano un prodotto superiore, ma gli riconoscevano anche proprietà medicinali. Sul Lario la coltivazione non a caso si concentra nella zona detta “Zoca de l’oli” (Conca dell’olio), tra Griantee Sala Comacina, lungo la costa occidentale del Lario.

Ulivi però ci sono sempre stati anche nella fascia dell’Alto Lago, il triangolo tra Bellagio, Lezzeno e Oliveto Lario, un toponimo non a caso, per un luogo che conta diverse migliaia di piante d’olivo.

Coltivazioni presenti anche sulla sponda orientale da Lierna a Varenna e Dervio fino all’abbazia di Piona, dove l’ulivo è coltivato e documentato dal V° secolo d.C.

Nel Medioevo grandi abbazie, benedettine e cistercensi, e potenti famiglie si disputarono i terreni a uliveto, perché l’olio era un prodotto prezioso, impiegato sia nelle funzioni liturgiche sia nella farmacopea del tempo raggiungendo il massimo sviluppo a metà del 500′.

Nel 1600, con la dominazione spagnola e l’introduzione di una pesante tassa sugli uliveti, la produzione subì un nuovo arresto, per riprendersi durante l’illuminismo, grazie allo sviluppo del libero mercato e all’abolizione dell’imposta. Nel settecento è stata introdotta la coltivazione del gelso per l’allevamento dei bachi da seta e nell’ottocento si è preferito estendere i vigneti, coltivazioni che hanno via, via preso il posto degli ulivi.

Con l’avvento dell’era industriale molti uliveti furono sostituiti da colture più resistenti alle gelate, tipiche della zona e l’olio dei laghi lombardi andò a quasi a scomparire, trovando poi una rinascita verso il nuovo millennio, diventando così un prodotto di nicchia, raro e apprezzato dagli estimatori.

Anno di svolta è il 1997, quando si raggiunse un traguardo molto importante, che sottolinea la qualità e la tipicità del prodotto di cui stiamo parlando. Infatti, in quell’anno, l’Olio Extravergine di oliva Laghi Lombardi, con le rispettive menzioni geografiche Sebino e Lario, ottiene dalla Comunità Europea il riconoscimento DOP (Denominazione di Origine Protetta), con regolamento CEE n. 2325/97 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 7/10/98.

Al fine di tutelare la tipicità della produzione e al tempo stesso di vigilare sul rispetto della normativa vigente in Italia e all’estero, il 30 luglio 1999 nasce il Consorzio volontario di tutela e valorizzazione dell’olio extravergine di oliva DOP “Laghi Lombardi” Sebino – Lario.

I sesti d’impianto, le forme di coltivazione e i sistemi di potatura vengono condotti sia con tecniche tradizionali, sia innovative, mirate a migliorare la qualità dell’oliveto, dei suoi frutti e, conseguentemente, dell’olio che ne deriva. Le olive sane sono raccolte direttamente dall’albero, generalmente entro il mese di novembre, nonostante il Disciplinare di Produzione preveda come termine ultimo di raccolta il 15 di gennaio, l’operazione può essere condotta manualmente, con la tecnica della brucatura, o con mezzi meccanici. La molitura delle olive deve avvenire entro tre giorni dalla raccolta, per l’estrazione dell’olio sono ammessi esclusivamente mezzi meccanici o fisici, che consentono di produrre oli nel pieno rispetto delle caratteristiche peculiari del frutto. La produzione massima per ettaro non deve superare i 5000 kg e la resa in olio non può risultare superiore al 19%. Dopo la lavorazione, l’olio può essere venduto sfuso o imbottigliato.

L’indicazione geografica Sebino comprende 24 comuni in provincia di Brescia e 24 comuni in provincia di Bergamo, tutti in prossimità del lago d’Iseo. E’ riservata all’olio ottenuto dalla varietà di olivo Leccino, in quantità non inferiore al 40% e dalle varietà Frantoio, Casalina, Pendolino e Sbresa in misura non superiore al 60%. Alla produzione possono concorrere anche altre varietà in quantità non superiore al 20%. I caratteri distintivi di questa produzione sono in particolare la bassa acidità, inferiore allo 0.55%. Ha un odore fruttato medio-leggero, sapore, fruttato con leggera sensazione di amaro e piccante per un colore che va dal verde al giallo.

La zona di produzione a denominazione geografica Lario comprende 33 comuni in provincia di Como e 12 comuni in provincia di Lecco, tutti i in prossimità del lago.

Devono essere utilizzate olive della varietà Casalina, Frantoio e Leccino in quantità non inferiore all’80%; per il restante 20% possono essere utilizzate altre varietà. Al momento del consumo quest’olio si presenta di colore verde intenso con lievi riflessi dorati; l’aroma è fruttato, generalmente dolce con una sensazione di mandorla.

Come tutti gli oli, deve essere conservato in un luogo fresco e asciutto, lontano dalle fonti di calore e possibilmente protetto dalla luce. La temperatura ottimale di conservazione è compresa tra i 12° e i 14° C; l’Olio dei Laghi Lombardi comunque esprime le sue massime qualità se consumato fresco, vista la sua caratteristica di fruttato leggero, che dopo 12 mesi dalla produzione va via via affievolendosi.

A bassa temperatura tende a solidificare; è sufficiente, prima del consumo, riportarlo a temperatura ambiente (16-18°C) per qualche minuto e agitarlo energicamente, anche se sarebbe meglio evitare il processo di condensazione causato dalle basse temperature, poichè potrebbe causare la perdita delle peculiari caratteristiche organolettiche che dipendono sia dalla zona di provenienza, sia dalle condizioni climatiche dell’annata, ma risultano accomunate da un basso livello di acidità, spesso inferiore all’0.1%.

Nelle province di Como e Lecco la produzione 2015 è stata decisamente in aumento rispetto alla campagna precedente, con un incremento del 70%, tutta di alta qualità. Un contributo importante alla spremitura dell’olio ‘made in Lombardia’, che marcia verso i 750 mila litri per le 700mila piante sparse tra le province di Como, Lecco, Brescia, Bergamo, e in alcune zone di recente produzione come Varese, la Valtellina e il Mantovano.

In particolare, nelle due province di Como e Lecco operano 100 imprese olivicole con una superficie di 130 ettari e due frantoi, uno per provincia: la produzione nel 2015 è stata è di circa 300 quintali, pari a 30.000 litri con un prezzo medio di vendita di 32 euro al litro.

Sul Lario opera ormai da oltre un trentennio l’Associazione Interprovinciale dei Produttori Olivicoli Lombardi (A.I.P.O.L) che fornisce assistenza tecnica specializzata ai propri associati, attualmente 160 aziende che coltivano circa 16.000 olivi. L’associazione collabora fattivamente anche con il Consorzio di tutela della Denominazione d’origine Protetta Laghi Lombardi, che garantisce la provenienza locale e l’alta qualità dell’olio prodotto sulle sponde del lago di Como, grazie ad un rigido disciplinare di produzione. Attualmente sono 12 le aziende che producono olio certificato DOP Laghi lombardi, con la sotto denominazione Lario.

A Perledo, centro a monte di Bellano, e cuore dell’olivicoltura lariana orientale, dal 1998 è attiva l’associazione Oliper, che oggi comprende produttori di tutto il bacino lariano (www.oliper.net) e che si propone di ‘promuovere la coltura e la cultura dell’olivo organizzando attività tecniche e culturali’.

Negli anni allo storico frantoio Vannini di Lenno si è aggiunto anche quello in funzione a Bellano, sulla sponda lecchese, realizzato per volontà della Comunità Montana della Valsassina, presso l‘Azienda Agricola Poppo.

E’ proprio al frantoio di Bellano, dove troviamo le novità più interessanti, con la confluenza di parecchi piccoli produttori valtellinesi.

Anche la Valtellina, infatti, vanta precedenti storici nella coltivazione dell’olivo sino al XIV-XV° secolo.

Sono già una trentina i produttori tra piccoli e piccolissimi che dalla Valtellina portano le loro olive al frantoio di Bellano. Alcuni produttori non sono poi così piccoli avendo già, i più grossi, 400 piante in produzione. In totale le piante valtellinesi sono oltre 5.000 distribuite sul versante retico (esposto a Sud) dalla Costiera dei Cek, di fronte a Morbegno e, verso Est, sino a Teglio.L’olivicoltura valtellinese è un po’ uno specchio del boom della coltivazione olivicoltura che ha attecchito sulla fascia alpina, operante in quel di Berbenno con lo scopo di ripristinare il territorio, ormai abbandonato recuperando i vecchi vigneti, divenuti nel frattempo boschi, non solo rispolverando l’antica vocazione con la coltivazione del Nebbiolo di montagna (Chiavennasca) ma anche ripiantando gli olivi sugli antichi terrazzi vitati e sperimentando, con l’applicazione dei metodi di agricoltura biodinamica, anche piccole coltivazioni erbacee come segale, saraceno, orzo, mais, lenticchie, sorgo rosso e ceci.

Non da meno sono state, e lo sono tuttora, la coltivazione e la produzione dell’olio d’oliva extravergine sul Lago Maggiore. Le olive erano di pezzatura piuttosto piccola, tipo quelle dell’attuale “leccino”, però la resa in olio era veramente elevata.

Su entrambe le sponde, la presenza è diffusa sin dall’età preromana con suppellettili varie che ne testimoniano la produzione. Documenti datati attorno al Mille menzionano oliveti sul Montorfano e in Ossola, e altri, ne confermano la presenza nel periodo che va dal X al XV°.

Presenza di agrumi e olivi è testimoniata anche da Paolo Morigia nel suo “Historia del Lago Maggiore” del 1603, poi perdute a causa di un periodo di particolare freddo chiamato “piccola glaciazione”. Morigia illustrando la zona di Verbania e in particolare il Monterosso, collina che sovrasta l’attuale città, lo descrive come ‘… vestito e rivestito di viti, lauri, e olivi…’.

Le zone di coltivazione erano i paesi collinari nella zona sopra Arona, a Gattico, Dormelletto, Barquedo, Massino, Nebbiuno, Lesa, Belgirate, Suna, Stresa, Oggebbio Mergozzo, l’Isola Madre ma anche Ghiffa e il Lago d’Orta.

Particolare poi la posizione di Cannero Riviera, con la sua insenatura naturale che la ripara dai venti freddi e la posizione soleggiata permette stagioni simili a quelle marine, il clima temperato in estate e mite d’inverno ha favorito una vegetazione varia che accanto alle tipiche piante da lago come camelie, rododendri e azalee, ha visto da sempre proliferare cedri, limoni, aranci, palme e olivi.

Sulla sponda piemontese si trovavano capaci frantoi e grossi torchi in funzione a Borgomanero, Massino Visconti, Miazzina e ovviamente Cannero Riviera.

L’olio che si otteneva dalla spremitura delle olive del Verbano era di particolare pregio in quanto, oltre al sapore estremamente delicato e al bassissimo grado di acidità, vantava, per effetto delle particolari condizioni di clima e di composizione del terreno, una combinazione organolettica tale da renderlo straordinariamente digeribile e vitaminico.

Per tutti questi motivi veniva utilizzato in molte diete alimentari e in particolare era indicato per quelle dei bambini, degli anziani e per i malati che si recavano sul lago Maggiore per la convalescenza.

Fino agli inizi del novecento era un ricercatissimo e pregiato elemento di alta gastronomia e c’è ancora qualcuno che ricorda con nostalgia quanto fosse impareggiabile e unico il filetto del pesce persico del lago fritto nell’olio del Verbano.

Nei primi anni del novecento ha avuto inizio la seconda fase discendente degli uliveti del lago Maggiore. Molti morirono e nell’inverno del 1929, a causa del clima rigido, si arrivò all’estirpamento quasi totale delle piante.

Negli ultimi decenni la coltivazione dell’olio d’oliva è ripresa sulla sponda piemontese. I primi appezzamenti, riportati alla coltivazione dell’olivo, sono stati in una zona storica di questa pianta a Solcio di Lesa, grazie all’intervento di più soggetti quali laFacolta’ di Agraria dell’Universita’ di Torino, il Consorzio per la Tutela dell’olio extravergine d’oliva Piemonte e Valle d’Aosta e l’associazione Piemontese Olivicoltori (Asspo), in collaborazione con le istituzioni locali. Il primo ad aver recuperato quest’attività nel VCO è stato il Dottor Angelo Sommaruga con 12 piante, arrivate poi a 200 negli ultimi tempi, proprio sulla collina del Monterosso sopra Verbania. Recuperando così terreni destinati a bosco senza cura e con esso l’aspetto estetico del paesaggio, favorendo anche la regimazione delle acque e la stabilità dei versanti degradanti sul lago.

Nel 2010 la produzione era già in decisa crescita portata avanti sia da agricoltori professionisti che amatoriali. Con circa 1500 piante di olivo, tra le varietà Frantoio, Leccino e Pendolino, distribuite nella fascia lacustre che interessa i comuni di Verbania, San Bernardino, Oggebbio, Cannero, Stresa, Baveno, Brovello Carpugnino, Cambiasca, Miazzina. Per una produzione di circa 300 litri, dal punto di vista organolettico eccellente.

E nello stesso anno nasce l’Associazione Produttori Olivicoli del VCO con 7 soci fondatori, arrivati a 20 nel 2015.

Si realizza una piccola produzione di ‘olio extravergine del Verbano’, nelle sue bottigliette. L’offerta, come prevedibile, non riesce per ora, a soddisfare la domanda che coincide in prevalenza con la ristorazione di fascia elevata, in attesa che la quantità cresca con la maturazione delle piante, la cui messa a dimora spesso risale a pochi anni fa.

Sulla sponda lombarda gli ulivi erano presenti alla rocca di Angera, a Ispra e nella conca di Leggiuno. Esistono ancora i frantoi alla Rocca di Angera e all’interno dell’eremo di Santa Caterina del Sasso a Leggiuno.

Anche qui come sul Lago di Como, tra il settecento e ottocento, del secolo scorso, questo tipo di coltivazione venne estirpato per fare posto ai gelsi, per l’industria tessile e alle viti.

Negli ultimi anni gli ulivi hanno ripreso a essere piantumati, rientrando nel progetto “Olio del Verbano” rientrante nella disciplinare“Olio laghi lombardi”. Nel 2011 è stato impiantato un piccolo uliveto a Germignaga, poi nel corso degli anni sono state messe a dimora circa 600 piante, il più possibile vicino al lago. Nell’area attorno ad Angera, nel lavenese, da Arolo alla zona Eremo di Santa Caterina del Sasso, Cellina, Reno e Ceresolo, nel luinese, a Porto Valtravaglia e nella parte più a Nord della sponda lombarda a Pino del Lago Maggiore. Il tutto in attesa della prima spremitura.

Sul lago di Lugano, gli ulivi e l’olio sono tornati alla fine degli anni 80′ del secolo scorso. Pioniere è stato Claudio Tamborini, viticoltore che via via si è appassionato alla coltivazione degli uliveti e alla produzione dell’olio d’oliva. A lui, negli anni si sono poi affiancati altri viticoltori del Canton Ticino come Angelo Delea e Luigi Zanini che nel tempo hanno messo a dimora centinaia di piante.

Tamborini si era anche posto una domanda fondamentale al proposito della coltivazione dell’ulivo. Cioè come mai sul Ceresio, a differenza del Verbano e del Lario, non si riuscisse a far fruttificare bene le piante. Da qui l’incarico al professore Fontanazza dell’università di Perugia di effettuare uno studio sulla possibilità d’impiantare nuovi uliveti in Canton Ticino. Così dopo attenti studi con stazioni di rilevamento climatiche, analisi dei terreni, il rapporto finale del professore concludeva che la coltivazione era possibile, dando anche indicazione sulla qualità di ulivi che bisognava piantare. Nel frattempo Tamborini si buttava a capofitto tra i vecchi documenti della biblioteca cantonale di Lugano sulle tracce della vecchia produzione olearia nel cantone che aveva le sue zone forte a Gandria e a Brissago.

Nel ’92 avvia la produzione sul Colle degli ulivi di Coldrerio sfruttando alcuni alberi centenari. I risultati sono più che incoraggianti e allarga la coltivazione alle terrazze del Castello di Morcote, partecipa alla riattivazione dell’oliveto di Gandria, nel comune di Lugano, che fa parte di un progetto naturalistico e archeologico sostenuto dal Cantone e dalla Confederazione.

L’oliveto di Gandria, ha anche finalità paesaggistiche, educative, culturali, turistiche. I rinvenimenti archeologici, come vecchie anfore olearie, avanzi di frantoi, i documenti medioevali e la presenza di antiche piante testimoniano una realtà antica e costante nel tempo dell’olivicoltura in questo lembo di Canton Ticino e per ora, un caso unico in Svizzera. Il Parco dell’olivo e il Sentiero dell’olivo si snodano tra Castagnola, sul lato meridionale del Monte Brè, e Gandria attraversando una zona dove esistono i resti di antichi oliveti e dove sono stati realizzati i nuovi impianti, arrivando sino in Valsolda. Il percorso è arricchito con 18 tavole che informano sulla storia, la botanica e la coltivazione dell’olivo, nonché sui suoi prodotti. Il sentiero dell’olivo è stato progettato dall’associazione ‘Amici dell’Olivo’ in collaborazione con il Fondo SNAG (per il sito naturalistico e archeologico di Gandria), che fa parte della Fondazione della Svizzera italiana per la ricerca scientifica e gli studi universitari. Negli ultimi tempi alcuni produttori, tra cui gli imprenditori vitivinicoli dell’importante area di vigneti del Mendrisiotto stanno iniziando a sviluppare una produzione commerciale di olio.

Anche a Varese e sul bordo del lago, gli olivi sono stati sempre presenti ma nel secondo dopoguerra sono andati via via sparendo lasciando spazio alle fabbriche oppure a nuove case.

Da qualche anno un gruppo di agricoltori ‘amatoriali’ ha iniziato a tornare ad abbellire le terrazze degradanti verso il lago con gli ulivi. Sono ormai oltre 2.000 le piante a Varese, con una relativa produzione detto “l’olio ‘di Sant’Imerio”.

Quest’olio particolare è opera di don Pietro Giola, parroco di Bosto, che piantò come auspicio di pace una piantina presso la chiesa di Sant’Imerio quando imperversava la guerra in Bosnia (1992-95). La pianta, insieme a molte altre, fino arrivare a novanta, ha creato l’uliveto di Monte Bernasco. Ha fruttificato e ogni anno si celebra in occasione della festività di Sant’Imerio il 29 gennaio la ‘Festa dell’olio e della solidarietà’. Il ricavato della vendita delle bottiglie è destinato a opere di beneficenza. Le olive selezionate vengono poi portate allo storico frantoio Vanini di Lenno sul lago di Como. Negli ultimi anni la produzione è decisamente aumentata grazie anche alle olive che provengono da ogni parte della provincia varesina come Casbeno, Castronno, Arcisate, Ferrera, Bobbiate, Cassano Magnago, ma anche dall’altomilanese con Busto Arsizio, Legnano e Busto Garolfo.

L’olio del Garda è un olio extra vergine d’oliva a Denominazione di origine protetta (DOP) prodotto nella zona del lago omonimo. Con un proprio consorzio di tutela “Olio Garda DOP”.

La varietà principale con cui si ottiene il Garda DOP è la Casaliva, autoctona del lago di Benaco. La resa in olio che dà è piuttosto consistente: 22-24% e consegna un olio leggero e profumato, fruttato con note di amaro e piccante, dal colorito giallo con riflessi aranciati verdi; in più ha un buon contenuto in polifenoli. Le altre varietà storiche gardesane sono il Leccino, il Rossanel, la Raza, il Moraiolo, il Pendolino e il Frantoio.

La denominazione di origine Garda è accompagnata da una delle seguenti menzioni geografiche aggiuntive: “Bresciano”, “Orientale” o “Trentino”.

L’olio extra vergine d’oliva Garda DOP. fino a pochi anni fa era quello ottenuto dalla cultura di olivi posizionata alla latitudine più a nord del mondo. Questa particolare situazione è dovuta al Benaco che crea, alle pendici delle Alpi, un microclima mediterraneo, che vede anche la coltivazione di agrumi, in particolare limoni.

Sul Garda l’olivo iniziò a svolgere un ruolo chiave già in età preromana. Nel VII° secolo d.C. Troviamo testimonia di un editto del 643 che applicava sanzioni pecuniarie a coloro che venivano sorpresi a danneggiare le piante di olivo nei villaggi attorno al lago.

Nel medioevo l’olio proveniente dal Benaco, si distingueva per l’alta qualità e per l’alto valore economico rispetto agli oli di altre provenienze ed era utilizzato con risultati eccellenti sia nell’alimentazione che in medicina. L’uso alimentare era destinato a pochi, poiché nell’alto medioevo 4-6 Kg di olio gardesano valevano quanto un maiale molto grande.

La fama dell’olio del Garda è andata sempre più aumentando; oggi l’olio DOP Garda rientra fra le prime 5 realtà olivicole italiane DOP.

Pubblicato su: http://www.labissa.com 

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