La cerimonia del tè in Giappone

La cerimonia del tè giapponese è da sempre l’espressione degli aspetti fondamentali di questa cultura ed è riuscita a preservare la sua simbologia oltre l’aspetto folkloristico a essa connesso.

Tutto ebbe inizio quando il tè arrivò in Europa nel Seicento, ma era già conosciuto e apprezzato in Asia almeno dall’VIII secolo.

La pianta del tè è originaria della Cina meridionale ed era molto famosa nella botanica e nella medicina orientale per le importanti proprietà terapeutiche, come offrire sollievo alla fatica, allietare l’animo, rafforzare la volontà, e guarire problemi di vista.

L’uso del tè come bevanda vedeva per la sua preparazione una lista d’ingredienti e, una modalità del tutto particolari, infatti, le foglie della pianta venivano cotte a vapore, pestate in un mortaio e poi se ne faceva un panetto che veniva bollito con riso, zenzero, sale, buccia di arancia, spezie, latte e qualche volta erano aggiunte le cipolle.

La ricetta subì nel corso dei secoli modifiche e semplificazioni, all’incirca nel X secolo, quando arrivò in Giappone, ma fu solo nel XIII secolo che il monaco buddhista Eisai (1141-1215) diffuse la bevanda come parte della dottrina Zen, una forma di buddhismo contemplativo proveniente dalla Cina.

Ben preso l’amore per questa bevanda si trasformò in teismo, ovvero culto del tè, detto Chanoyu, e si staccò dall’ambiente monastico per diventare il nesso tra la vita e l’arte, tra il sacro e il profano.

Il Sado, la via del tè, nella sua sobrietà era la costante ricerca della semplificazione tipica dello Zen, usandone il peculiare senso estetico e facendone una forma artistica che diede origine alle scuole di maestri del tè, alcune delle quali ancora oggi fiorenti.

Il tè usato nella cerimonia non è il comune tè in foglie che s’immerge in acqua calda, ma uno dal caratteristico colore verde brillante, finemente polverizzato e disciolto in acqua calda con un frullino di bambù, che diventa una bevanda densa, leggermente spumosa, da un caratteristico sapore amarognolo assai diverso da quello del tè comune, detto da uno scrittore cinese la “spuma di giada liquida”.

La cerimonia del tè si divide in tre momenti distinti, Kaiseki con un pasto leggero consumato prima del tè, Koicha con il tè denso e Usucha con il tè leggero.

Un elaborato codice di etichetta lega tutte le fasi della cerimonia, dal numero di giorni di anticipo con cui si estende un invito, al rituale lavaggio delle mani prima di entrare nella sala del tè, a dove sedersi durante la cerimonia, alla scelta dell’ospite d’onore, fino a come servire e di bere il tè.

L’Usucha e il Koicha rappresentano visivamente due momenti distinti della cerimonia, infatti, nel primo si usa un’unica tazza da cui ogni ospite beve solo pochi sorsi, ma prima bisogna ammirarla, dopo aver assaggiato il tè complimentarsi per il sapore e poi bere ancora un paio di sorsi prima di passare la tazza al vicino commensale, non prima di aver accuratamente asciugato con un tovagliolo la parte da cui si è bevuto.

Nel caso dell’Usucha ogni ospite beve tutta la tazza di tè, poi con le dita ne asciuga il bordo, si asciuga le mani con un tovagliolo, e restituisce la tazza al padrone di casa che la lava con acqua calda, per poi riempirla di nuovo per servire un altro ospite, sempre con la tazza dalla parte più bella, che l’ospite deve girare per non bere dalla parte migliore.

La popolarità della cerimonia nel XVII secolo portò a un ricco sviluppo della ceramica usata per le tazze da tè, come le tazze Raku, originarie di Kyoto, piacevoli al tatto e che ispirano serenità nella loro semplicità e sobrietà decorativa, dall’aspetto non perfettamente rotondo ma fatto in modo da essere tenute con entrambe le mani, come si fa bevendo il tè.

Il buddhismo Zen non solo ha creato la cerimonia del tè, ma ha dato l’idea dalla sala adibita al suo culto.

La sala da tè può essere separata dal resto della casa oppure essere parte della casa stessa, deve essere di quattro tatami e mezzo, con al centro la teiera mentre gli ospiti si dispongono sui quattro tatami.

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