Sherlock Holmes e la psicoanalisi: intervista a Giuliano Spinelli

Ho avuto l’opportunità di intervistare Giuliano Spinelli, uno scrittore originario del Lario che negli ultimi tempi ha scritto una serie di storie con protagonista il grande investigatore Sherlock Holmes.

Innanzitutto, ci parli un po’ di lei. Chi è Giuliano Spinelli?

Sono nato a Seregno nel 1959, e per questo amo definirmi un “diversamente giovane” che vive lavora tra la sua città d’origine e il paese di Abbadia Lariana, in provincia di Lecco. Il mio stato di famiglia certifica l’invidiabile condizione di single, nella quale peraltro mi trovo perfettamente a mio agio. Studi liceali, e a seguire una specializzazione di tecnico colorista, attività che ho svolto per trentacinque anni con profitto. Sublimando le competenze acquisite, sono recentemente approdato a un’attività artistica di pittura su vetro. Attualmente espongo le mie opere in varie mostre ed esposizioni private, e virtualmente su Facebook.

Sono da molti anni impegnato presso una cooperativa ONLUS, dove svolgo attività di marketing e sensibilizzazione su riciclo e riuso. In passato ho seguito progetti di sviluppo in Brasile e Guinea Bissau. Sono da sempre un attivo operatore volontario nel settore, in un’azione concreta di critica a un modello consumistico, indirizzata verso un’ottica di minor impatto sociale.

Lei è molto legato al Lago di Como?

Assolutamente sì. Fin da bambino le sue acque scure hanno esercitato su di me un’attrazione speciale, e non riesco a immaginare di poter vivere in un luogo dove non ci sia dell’acqua nelle vicinanze, sotto tutte le forme che possiamo conoscere; del resto, l’acqua è l’elemento primigenio che determina la vita, e che racchiude in sé tutte le verità, specialmente quelle più nascoste. In psicoanalisi è il simbolo più significativo dell’inconscio, sia personale che collettivo.

Com’è arrivato all’arte dello scrivere, è stato il caso o una scelta precisa?

Precisamente, direi che è stato assolutamente un caso. Mi è sempre piaciuto scrivere, ma l’ho sempre fatto per me stesso, senza immaginare che un giorno qualcuno avrebbe potuto prendere in considerazione una mia opera per la pubblicazione. Solo dopo sollecitazione di una mia amica scrittrice, che aveva letto il mio primo romanzo su Sherlock Holmes, mi sono deciso a proporre il manoscritto a una casa editrice, la DELOS Digital di Milano, che con mia grande sorpresa ha deciso di inserirlo fin da subito in una delle sue collane, praticamente così come si presentava, senza significative correzioni o interventi di editing. Di questo mi sento in dovere di ringraziare il curatore della collana, Luigi Pachì, che mi ha dato fiducia da subito, senza riserve. Quel primo lavoro ha richiesto anni di preparazione e mesi di stesura, e il fatto che la cosa si sia poi risolta nel giro di poche ore rappresenta ancor oggi un enigma irrisolto, almeno per quanto mi riguarda. Bisogna però ammettere che con l’editoria digitale tutto è più facile, e i rischi d’impresa significativamente ridotti.

Comunque sia, alla luce del mio modesto curriculum, il fatto di leggere il mio nome accostato nella stessa collana a tanti altri autori di notevole spessore non può che essere motivo d’orgoglio, e tanto mi basta.

Quando ha conosciuto per la prima volta le avventure di Sherlock Holmes?

Fin da bambino è stato uno dei miei personaggi letterari preferiti. Ho letto e riletto l’intera produzione di Conan Doyle durante tutte le fasi della mia vita, come si trattasse di un testo sacro; ora mi limito a consultare i testi quando ne ho bisogno per scrivere, sia per richiamare fatti e personaggi, sia per evitare anacronismi e contraddizioni. Noi sherlockiani su questo punto siamo molto critici, e ossessivamente attenti ai particolari.

Qual è stato lo spunto per il suo primo romanzo breve “Sherlock Holmes e l’esorcista”, dove s’incrociano il giallo, la religione e il mistero?

Mi è impossibile rispondere a questa domanda senza “spoilerare” la trama e svelare indirettamente la soluzione del mistero. Basti dire che nel canone sherlockiano si fa riferimento alla morte misteriosa di un certo Cardinale Tosca, caso poi risolto dal celebre investigatore, ma che l’autore non ha mai ritenuto di sviluppare in un’opera compiuta. Con poca modestia ho semplicemente ritenuto di sostituirmi a Conan Doyle nel proporre una mia personale interpretazione del caso. In seguito ho scoperto che Luca Martinelli, uno dei miei scrittori di apocrifi sherlockiani preferiti, aveva già sviscerato l’argomento in una sua recente pubblicazione, che ho prontamente acquistato e letto con molto piacere e attenzione. Naturalmente i due romanzi non hanno assolutamente nulla in comune, se non l’identità stessa dello sfortunato protagonista.

Com’è arrivato ad avere l’idea di una serie di racconti con protagonisti Holmes e Jung?

Ritengo che Holmes e Jung abbiano un tratto in comune: sono entrambi indagatori dell’animo umano. Per certi versi, la psicologia del profondo si avvicina come metodologia all’indagine investigativa, e molti studiosi si sono sbizzarriti a dare del “fenomeno” Holmes un’interpretazione psicoanalitica. Il fatto che si tratti di un personaggio di fantasia è del tutto irrilevante: per certi versi, Sherlock Holmes è un uomo del suo tempo, che riflette le peculiarità e le contraddizioni dell’epoca vittoriana. E, in ultima analisi, una psicologia di Sherlock Holmes non può prescindere dall’atteggiamento ambivalente del suo creatore. Conan Doyle, infatti, è un figlio del positivismo ottocentesco, la cui ombra nascosta si esprime nell’oscuro dei bassifondi londinesi, ma non solo. Forse non tutti sanno che l’autore, in aperta contraddizione con l’esasperato razionalismo della sua creatura letteraria, era un fervente appassionato di occultismo e di spiritismo, temi che non trovano spazio alcuno nell’universo sherlockiano, dove tutto è basato sul metodo scientifico e sull’osservazione diretta della realtà. Del resto, tutti gli appassionati conoscono a memoria una delle citazioni più famose di Holmes, che recita opportunamente “quando si è eliminato tutto ciò che è impossibile, quello che rimane, per quanto improbabile, deve essere la verità.”

Nel mio racconto “Elementare, Jung: psicoanalisi di Sherlock Holmes”, ho la presunzione di sottoporre ad analisi il grande investigatore. Trattandosi di fiction, tutto è possibile, e lo schema che ho proposto è da intendersi cum grano salis, e da interpretare per quello che è, cioè un’invenzione letteraria senza pretesa alcuna di attendibilità scientifica. Lo spunto per questo racconto nasce da un’esperienza diretta dello stesso Jung, che durante il suo internato presso l’ospedale psichiatrico di Zurigo, aveva smascherato l’autrice di un furto in corsia mediante il metodo diagnostico denominato “reattivo di associazione verbale”, una sorta di prototipo anticipatore di macchina della verità. Ed è interessante notare che Jun aveva effettivamente prestato la sua opera come consulente presso la polizia cantonale di Zurigo, nella speranza che il suo metodo di associazione verbale potesse aiutare gli inquirenti a scoprire l’autore di certi crimini. Nella finzione letteraria Jung sottopone il test a Sherlock Holmes, riportando alla coscienza un trauma infantile, con conseguente, sconvolgente rivelazione sul passato del grande investigatore.

Trovo molto interessante la trovata di raccontare che cosa è davvero successo a Mary Morstan, la prima signora Watson. Che cosa le ha suggerito l’idea?

Su quest’argomento, è come se Conan Doyle avesse lasciato una pagina vuota. A un certo punto questa figura diventa semplicemente d’impiccio, e viene semplicemente cancellata, in modo che i due protagonisti possano riprendere la loro esistenza da scapoli nell’appartamento al numero 221/b di Baker Street. La povera Mary Morstan semplicemente scompare senza lasciare alcuna traccia dietro di sé; e questo si deve in buona parte alla conclamata misoginia dell’autore e, di riflesso, della sua creatura letteraria.  E dato che nulla si sa della sua morte, questo lascia campo libero a qualsiasi supposizione in merito; sta a noi autori di apocrifi holmesiani il compito di riempire gli spazi vuoti lasciati dall’autore. Anche in questo caso non posso dire di più, per non privare il lettore della rivelazione finale. Posso solo dire che il ritorno sulla scena di Mary Morstan è una delle classiche avventure sherlockiane in cui tutto non è come appare a prima vista…

Com’è arrivato ad avere l’idea per scrivere Sherlock Holmes e lo straordinario caso di madame Babette?

In realtà, l’ipotesi di partenza prevedeva l’incontro fatale tra il più grande investigatore della storia e il primo e più famoso dei ladri gentiluomini. Poi, come spesso succede, la storia ha man mano preso tutt’altra direzione. Però non ho rinunciato del tutto all’idea iniziale, e Arsenio Lupin fa comunque la sua apparizione, anche se come figura di complemento. Non escludo, in futuro, di riprendere il tema e svilupparlo più ampiamente, ma temo che non sarà facile, poiché molto è già stato scritto sull’incontro tra queste due figure decisive della letteratura poliziesca, e sarebbe necessario documentarsi in maniera approfondita per evitare cose già dette.

Quali sono le fonti che ha usato per i suoi racconti?

Principalmente quello che noi sherlockiani, definiamo il canone, cioè l’intero corpus letterario basato sulla figura di Sherlock Holmes, che è composto da quattro romanzi e cinquantadue racconti. Molte sono i rimandi e le citazioni alla produzione originale, e questo è stato necessario per evitare contraddizioni, anacronismi e quant’altro. Uno dei miei romanzi, Sherlock Holmes e l’avventura del farmacista pazzo, non può essere compreso fino in fondo senza aver letto uno dei racconti del canone, per la precisione l’avventura della seconda macchia, di cui per certi versi può essere considerato una sorta di sequel parziale. Poi google maps… per quanto possa sembrare strano, non sono mai stato a Londra, e per l’ambientazione delle mie storie ho utilizzato quanto di più avanzato possa fornire la tecnologia attuale. Ora si può viaggiare virtualmente molto meglio di come faceva, per esempio, Emilio Salgari a suo tempo: basta un click sulla tastiera e sei sul posto. Certo, dall’epoca vittoriana molto è cambiato della struttura urbanistica londinese, ma le direttive principali sono rimaste pressoché inalterate, e grazie alle mappe satellitari non ho avuto bisogno di inventarmi nulla.

Lei è un chitarrista, quali sono i cantanti e gruppi che lei ama di più degli anni Sessanta e Settanta?

Beatles, in primis. Poi David Bowie, Rolling Stones, Neil Young, Pink Floyd, Cat Stevens, Bruce Springsteen, Leonard Cohen, Bob Dylan, Paul Simon… per farla breve, quanto di meglio possa aver prodotto e tramandato quell’epoca straordinariamente feconda della musica moderna. Amo molto anche i cantautori italiani, in testa a tutti Fabrizio De Andrè, ma anche Francesco De Gregori, Lucio Battisti, Ivano Fossati, Francesco Guccini, Roberto Vecchioni, Lucio Dalla ecc. Insomma, tutti i grandi della canzone d’autore, nessuno escluso.

Quali sono i suoi progetti futuri?

Per il momento la produzione letteraria riferita a Sherlock Holmes è in standby, ho un paio di bozze salvate nel mio computer che svilupperò quando sarà il momento. Per quanto possa amare il grande detective, a un certo punto è scattato in me una sorta di meccanismo di saturazione, e ho sentito il bisogno di rivolgere la mia attenzione a qualcosa di diverso. Per troppo tempo i signori Holmes e Watson hanno assorbito tutte le mie energie, senza permettermi di pensare ad altro; e quando un’attività rischia di diventare troppo monotematica e totalizzante, è importante sapersene distaccare, almeno per un po’. Le mie attenzioni ora sono concentrate sulla mia attività principale, che è quella artistica, ed è una scelta peraltro obbligata, perché di diritti d’autore non si campa, se non per rare ed autorevoli eccezioni. Lo scrivere per la maggior parte di noi autori è un’attività collaterale, un hobby che è bene coltivare finché se ne ha voglia, e non certo per ricavarne un mezzo di sostentamento. Comunque, in futuro non escludo di scrivere qualcosa che non sia basato sulla figura di Sherlock Holmes, e ho qualche idea su una serie di racconti ambientati sulle nostre montagne, e su quello splendido lago che ho il privilegio di poter ammirare dall’alto, e che quasi tutti i giorni vado a salutare.

 

 

 

 

 

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