Riscoprire il Vittoriale. Altro che Certosa!

Il Vittoriale, altro che Certosa.

Orario continuato, ordine perfetto, guide molto professionali, un monumento importante che si offre al visitatore in tutta la sua grandiosità.

E’ abbastanza spontaneo il paragone con la Certosa di Pavia, orario di visite assurdo, nessuna accoglienza, pochissimi confort, monumento di altro genere e di altra epoca, non meno importante, ma certamente meno valorizzato.

Arrivo al Vittoriale, dopo molti anni, l’ultima volta ero una ragazzina e lo vedo, forse lo gusto, con occhi diversi.

L’organizzazione impeccabile, precisa, gentile che accoglie i turisti è un biglietto da visita importante.

La sensazione è questa: tu sei l’ospite, questo è il messaggio che passa e quindi il benvenuto.

Il Vittoriale è di una vastità tale che viene anche data la possibilità di scegliere la tipologia della visita, parziale o completa, con guida o senza. Il tutto con cortesia e precisione.

Certo la posizione eccezionale sul lago di Garda, la giornata limpida, ma non caldissima, i fiori ancora nel pieno della loro bellezza, concorrono a far si che intraprenda il mio giro con entusiasmo.

La storia di questa residenza, la miriade di “cose” che contiene, la storia che emana ne fanno veramente un sito affascinante.

Sulle sponde del Lago di Garda, a Gardone Riviera, in una posizione privilegiata per la vista mozzafiato che offre, si trova il Vittoriale degli Italiani, la Casa-Museo dove Gabriele d’Annunzio visse negli ultimi anni della sua vita. La residenza è collocata su di un terreno molto vasto di nove ettari in cui si trovano la Cittadella, il Museo della Guerra, gli Archivi, le Biblioteche e il Teatro, piazze, viali e fontane, un vero e proprio museo dove sono contenute reliquie, ricordi, cimeli e tracce del “vivere inimitabile” come lo chiamava il poeta-vate, dichiarato monumento nazionale nel 1925.

Tutto cominciò quando, dopo l’impresa di Fiume, D’Annunzio si mise alla ricerca di una dimora defilata, come diceva a De Ambris, suo compagno nell’impresa fiumana “Sono avido di silenzio dopo tanto rumore, e di pace dopo tanta guerra”.

Alla fine il poeta scelse la villa di Cargnacco, sulla costa del lago di Garda, nel verde, su un colle terrazzato, tra un uliveto e una limonaia, che era proprietà di Heinrich Thode, illustre tedesco studioso d’arte che dovette abbandonare la sua residenza italiana a causa del decreto del 1918 sui danni di guerra.

D’Annunzio, oltre alla villa, comprò anche i circa seimila volumi della biblioteca di Thode, vari mobili, tra cui un pianoforte, quadri e suppellettili.

“Hic manebimus optime” cioè “Qui starò ottimamente” disse il poeta che andò ad abitare nella villa il 14 febbraio 1921. 

In realtà, l’intenzione iniziale era solo un breve soggiorno, necessario a terminare il Notturno, ma, dopo poco tempo, il poeta decise di acquistare la villa, spinto dall’esigenza di avere un luogo dove conservare i ricordi della sua lunga e avventurosa vita.

Il 31 ottobre 1921, per la somma di 130.000 lire, D’Annunzio entrò in possesso della casa, dei beni mobili custoditi all’interno e di due ettari di terreno, poi comprò anche i terreni limitrofi, costituendo una vera e propria cittadella.

Dato che la sua nuova residenza esteticamente non corrispondeva all’amore per il lusso e le stravaganze tanto cari al poeta, la villa del Cargnacco venne a poco a poco pesantemente modificata, prima fu soprannominata Eremo, in seguito fu chiamata Prioria, rimanendo sempre il corpo centrale della residenza anche quando vennero costruiti i corpi di fabbrica aggiuntivi. Nei giardini della Prioria, D’Annunzio allestì, in un boschetto di magnolie, un luogo per le riunioni con i legionari, con scanni in pietra in circolo, un trono e tra i fusti degli alberi diciassette colonne simboleggianti le vittorie della guerra, che venne chiamato Arengo.

L’intero complesso venne soprannominato Vittoriale degli Italiani, per ricordare il Vittoriano, l’altare della Patria dedicato a Vittorio Emanuele II.

D’Annunzio, che aveva urgente bisogno di denaro per compiere l’opera che man mano stava crescendo, giocò d’astuzia con Mussolini esiliandosi volontariamente e pretendendo che gli fossero riconosciuti i meriti di guerra. Inoltre promise di donare il Vittoriale allo stato italiano in cambio delle risorse necessarie alla sua realizzazione.

Nell’atto di donazione, stipulato da D’Annunzio il 22 dicembre 1923 e perfezionato nel 1930, il poeta dichiara e illustra i suoi intenti alla sua maniera: “Io donai allo stato le case e le terre da me possedute nel comune di Gardone sul Garda […] così anche donai tutte le mie suppellettili interamente, senza eccettuarne veruna: e non soltanto quelle già collocate nelle mie case ma pur quelle che di anno in anno io vado scegliendo e disponendo e catalogando […] Io vivo e lavoro, e faccio musica, nella solitudine del Vittoriale donato; e dedico alle mie mura l’assiduo amore che mi lega alle pagine de’ miei nuovi libri […] Non soltanto ogni mia casa da me arredata […] non soltanto ogni stanza da me studiosamente composta, ma ogni oggetto da me scelto e raccolto nelle diverse età della mia vita fu sempre per me un modo di espressione, fu sempre per me di rivelazione spirituale, come un de’ miei poemi, come un de’ miei drammi, come un qualunque mio atto politico e militare, come una qualunque mia testimonianza di diritta e invitta fede. Per ciò m’ardisco io d’offrire al popolo italiano tutto quel che mi rimane, e tutto quel che da oggi io sia per acquistare e per aumentare col mio rinnovato lavoro: non pingue retaggio di ricchezza inerte ma nudo retaggio di immortale spirito […] io son venuto a chiudere la mia tristezza e il mio silenzio in questa vecchia casa colonica, non tanto per umiliarmi quanto per porre a più difficile prova la mia virtù di creazione e trasfigurazione. Tutto infatti è qui da me creato o trasfigurato. Tutto qui mostra le impronte del mio stile, nel senso che io voglio dare allo stile. Il mio amore d’Italia, il mio culto delle memorie, la mia aspirazione all’eroismo, il mio presentimento della Patria futura si manifestano qui in ogni ricerca di linea, in ogni accordo o disaccordo di colori. Non qui risànguinano le reliquie della nostra guerra? E non qui parlano o cantano le pietre superstiti delle città gloriose? Ogni rottame aspro è qui incastonato come una gemma rara. La grande prova tragica della nave ‘Puglia’ è posta in onore e in luce sul poggio […] E qui non a impolverarsi ma a vivere son collocati i miei libri di studio, in così grande numero e di tanto pregio che superano forse ogni altra biblioteca di ricercatore e di ritrovatore solitario. Tutto è qui dunque una forma della mia mente, un aspetto della mia anima, una prova del mio fervore. Come la morte darà la mia salma all’Italia amata così mi sia concesso preservare il meglio della mia vita in questa offerta all’Italia amata. Ma da poco la mia salma ha già la sua arca sul colle denominato Mastio […] Anche da poco ho fondato il Teatro aperto, e ordinato le scuole, le botteghe, le officine a rimembrare e rinnovellare le tradizioni italiane delle arti minori. Batto il ferro, soffio il vetro, incido le pietre dure, stampo i legni con un torchietto […], colorisco le stoffe, intaglio l’osso e il bosso, interpreto i ricettarii di Caterina Sforza sottilizzo i profumi”.

La stipula dell’atto permise il finanziamento necessario al completamento del Vittoriale e diede inizio alla Fabbrica Santa, che vide al centro il lavoro del giovane architetto Gian Carlo Maroni, chiamato dal poeta “Maestro delle pietre vive”, che nel 1937, quando il Vittoriale divenne una fondazione, ne fu il soprintendente.

“Chiedo a te l’ossatura architettonica, ma mi riserbo l’addobbo […] Desidero di inventare i luoghi dove vivo” diceva D’Annunzio nelle lunghe lettere all’architetto.

Nel 1926 finì la ristrutturazione della Prioria, primo nucleo della casa e residenza del poeta, divisa al suo interno in una serie di stanze, ognuna con un nome del tutto originale, considerata la parte più suggestiva di tutto il Vittoriale, dove la luce del mondo esterno non arriva se non filtrata da tendaggi decorati e da vetrate variopinte. Ogni cosa è come d’Annunzio l’ha lasciata, tra i suoi occhiali poggiati su uno scrittoio, i libri impilati, le foto appese, la tavola da pranzo apparecchiata e gli oggetti da toilette allineati nella stanza da bagno.

Rivestito da legno di noce, l’ingresso della Prioria vede una scala di sette gradini che porta a un pianerottolo con due porte che conducono entrambe a due stanze d’attesa dai significati contrapposti, l’Oratorio Dalmata (a sinistra) per gli ospiti intimi e la Stanza del Mascheraio (a destra) per gli ospiti indesiderati, chiamata così per la scritta, su marmo verde, incorniciata al di sopra dello specchio “Al visitatore: Teco porti lo specchio di Narciso? / Questo è piombato vetro, o mascheraio. / Aggiusta le tue maschere al tuo viso / Ma pensa che sei vetro contro acciaio” che venne collocata nel maggio del 1925, in occasione della seconda visita di Mussolini, che dovette aspettare per ben sei ore.

La Stanza della Musica, completamente rivestita, dalle pareti al soffitto, di stoffe scure e preziose allo scopo di dare una migliore acustica, vedeva i concerti tenuti da Luisa Baccara, la pianista amante del poeta, mentre la Stanza del Mappamondo era la biblioteca del precedente proprietario.

Subito dopo si trova la stanza di servizio che porta nella zona notte della casa, la Zambracca, da zambra in provenzale, cioè la donna di servizio, che era usata come studiolo e dove il poeta morì sullo scrittoio, con i calchi dei cavalli del Partenone e della testa dell’Aurora di Michelangelo dorata, per un’emorragia celebrale il 1 marzo 1938.

L’’architrave che porta da questa stanza alla stanza da letto, la Stanza della Leda, ha la scritta Genio et voluptati (Al genio e al piacere), mentre nella camera ci sono una coperta persiana di seta, il calco dello Schiavo morente di Michelangelo, numerosi idoli orientali, gli elefanti regalati al poeta dalla moglie e i libri lasciati sul tavolino da notte.

La vicina Veranda dell’Apollino fu aggiunta alla struttura originaria della casa per illuminare indirettamente la camera da letto e prende il suo nome dal calco del piccolo Apollo posto al centro della stanza, circondato da numerosi animali in miniatura, mentre alle pareti sono appesi i calchi delle metope del Partenone e varie riproduzioni fotografiche di celebri dipinti.

Nel 1931 D’Annunzio fece modificare il bagno, arricchendolo di oggetti e mattonelle e scegliendo una serie di sanitari di colore blu, per un totale di circa novecento oggetti disseminati ovunque, pareti ornate da mattonelle persiane, il motto di Pindaro Ottima è l’acqua ripetuto sul soffitto e un pavimento ricoperto da tappeti orientali.

Attraverso uno stretto corridoio si arriva alla Stanza del Lebbroso, forse la più simbolica, dove il poeta si recava a meditare nelle solenni ricorrenze, nel letto detto delle due età perché era “quasi culla e quasi bara” e dove venne esposta la sua salma, sovrastato dal dipinto raffigurante San Francesco che abbraccia d’Annunzio lebbroso, ispirato alla credenza medievale che il lebbroso è signatus, toccato da Dio, e quindi sacro.

Attraversati il Corridoio della Via Crucis e la Stanza delle Reliquie, ricca di oggetti legati alla vita e filosofia del poeta, superate la Cucina, la Stanza delle Marionette e la Stanza del Giglio, che ha alle pareti ha circa tremila volumi, specialmente di letteratura e storia italiana, si arriva nello Scrittoio del Monco, lo studiolo adibito alla gestione della corrispondenza, con la scritta sull’architrave d’ingresso Recisa quescit (Tagliata riposa) che, con l’immagine di una mano sinistra mozzata, indica che il poeta è impossibilitato o non vuole rispondere alle numerose lettere che riceve.

Per entrare nel luogo D’Annunzio lavorava, l’Officina, bisogna inchinarsi, dato che alla stanza si accede salendo tre alti scalini sormontati da un architrave, con il motto Hic opus, hic labor est (Qui è l’opera, qui è il lavoro), tanto basso che chi vi entra è costretto ad abbassare il capo, per rendere omaggio all’arte che vi nasceva e dove sono ancora allineati sui vari tavoli di lavoro e sugli scaffali i manoscritti, i documenti e i volumi consultati dal poeta.

Insieme alle immagini fotografiche della Cappella Sistina e del Trionfo di Cesare di Mantegna, fra disegni anatomici e modelli di aeroplano, ci sono anche molti calchi, come quelli della Nike di Samotracia e delle metope equestri del Partenone, fra cui spicca busto di Eleonora Duse coperto da un velo dallo stesso d’Annunzio, che non voleva essere distratto dalla bellezza del suo grande amore.

Attraversando il corridoio del Labirinto, si arriva alla sala da pranzo, in stile déco, ultimata nel 1929 e detta la Stanza della Cheli dalla tartaruga (in greco Khélys) regalo di un’amica del poeta, morta per un’indigestione di tuberose nei giardini del Vittoriale, adesso a capotavola come monito alla sobrietà.

Questa stanza unisce la Prioria con Schifamondo, la nuova ala avviata nel 1926 che, oltre ai nuovi ambienti dove d’Annunzio avrebbe dovuto trasferirsi, ma che furono ultimati dopo la sua morte e dove si trova il Museo della Guerra. Qui si trova un Auditorium per mostre, conferenze e concerti, coperto con una cupola dove è sospeso il famoso aereo SVA 10 con cui il poeta sorvolò Vienna, gettando i volantini per annunciare la vittoria italiana.

Dall’ala dello Schifamondo si arriva al Viale di Aligi, che prende il nome dal personaggio dell’opera teatrale La Figlia di Iorio, e tra sentieri, fontane, ruscelli e cascate si vede una rimessa che contiene il MAS 96, motoscafo anti-sommergibile, protagonista di numerose imprese di d’Annunzio, la più nota chiamata la Beffa di Buccari del 1918.

Continuando il percorso si arriva al più suggestivo e spettacolare allestimento degli esterni del Vittoriale, quello della prua della nave Puglia, donata a D’Annunzio dalla Marina Militare nel 1923, arrivata a Gardone Rivera nel gennaio del 1925 smontata e trasportata con decine di vagoni ferroviari, collocata come omaggio alla memoria di Tommaso Gulli, capitano della Regia Nave Puglia, e ad Aldo Rossi, due eroi dell’epopea fiumana, che morirono nelle acque di Spalato nel 1920.

La prua è rivolta verso il lago in direzione dell’Adriatico, come se fosse pronta a salpare per riscattare la costa Dalmata. 

Alla sommità dell’altura che sovrasta il parco del Vittoriale si trova il Mausoleo, monumento funebre allestito dall’architetto Maroni dopo la morte del poeta, dove D’Annunzio aveva sistemato una serie di antiche arche, risalenti all’epoca romana, dono della città di Vicenza.

L’arca con le spoglie del poeta è collocata al centro del monumento, ispirato ai tumuli funerari etrusco-romani, e sovrasta quelle con le salme di dieci legionari di Fiume, disposte attorno.

Tra le numerose attrazioni, da ricordare è il Teatro, che si affaccia sul lago e concepito alla stregua di un antico anfiteatro greco, fu completato nel 1952 e da allora ospita rassegne teatrali e concerti.

Allo stesso tempo, di notevole valore culturale sono gli archivi, divisi in Archivio Personale, Archivio Generale, Archivio Fiumano e Archivio Iconografico, e la biblioteca, formata dalla collezione privata dello scrittore e ampliata con acquisti, scambi e donazioni di ammiratori e collezionisti, aperti alla consultazione.

Pubblicato su: www.labissa.com 

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