Il sogno di Geo Chavez, tragico vincitore delle Alpi

Là, sulle incerte nebulose rade,

là, sull’immensità che gli s’invola

di sotto, là, su l’alto cielo ei cade.

Cade, con la sua grande anima sola

sempre salendo. Ed ora sì, che vola!

– Giovanni Pascoli –

L’Insubria è il territorio con le ali per eccellenza. Un motivo di orgoglio in più per questa regione che da sempre è stata all’avanguardia nel volo, anzi ne ha visto proprio i primi svolazzi se non addirittura balzi.

Nel 1910, in quella che un tempo era la cascina La Malpensa, a pochi passi dal Ticino, dove si svolgevano le cariche di cavalleria dell’esercito sabaudo, il 27 maggio, l’ingegnere trentino Gianni Caproni, realizzò il suo sogno facendo volare il biplano a motore a scoppio Caproni Ca.1. A pochi passi da li, a Vizzola Ticino, crebbe la fabbrica omonima, il primo stabilimento italiano per l’aeronautica.

Contemporaneamente, qualche chilometro più in basso, sulla sponda opposta del Ticino a Cameri (No), nasceva un altro aeroporto con annessa una storica scuola di volo. A Milano vedeva la luce, l’aerodromo Taliedo, in zona via Mecenate (diventerà poi Linate), così come ad Osio Sotto nella bergamasca, succedeva lo stesso a Domodossola e Montichiari. I laghi di Varese, Maggiore e di Como, vedevano le prove dei primi idrovolanti e la loro crescita. Pochi anni dopo toccava a Bresso alle porte di Milano.

Alla fine della Prima guerra mondiale, a Ternate sul lago di Comabbio, venne costruito un idroscalo, diventato poi un deposito d’idrovolanti della Regia Aeronautica. A Pavia nel 1926, viene dato il via ai lavori di un idroscalo sul Ticino. Negli anni 30 era poi la volta dell’idroscalo internazionale di Como, dell’aeroporto di Linate, di quello turistico di Vergiate, nato dalle esigenze della SIAI Marchetti e di quello di Venegono. Un territorio che ha visto sorgere le più importanti aziende aeronautiche del mondo e che tuttora conserva questo primato invidiabile. Sono nate qui e hanno la loro sede e produzione l’Aermacchi, l’Agusta, un centro ricerche aerospaziali (affiancato dall’Alenia) a Nerviano. Gli aeroporti internazionali di “La Malpensa”, Linate e Orio al Serio, l’eliporto dell’Agusta (Verghera di Samarate), ancora quelli di Venegono, Vergiate, Cameri, quello di Biella-Cerrione, Como (unico idroscalo italiano e unica scuola per piloti d’idrovolanti d’Europa), l’aviosuperficie di Domodossola, il campo volo per gli alianti di Calcinate del Pesce (sul Lago di Varese) e uno dei paradisi del volo a vela e del deltaplanismo come il Sass de Ferr di Laveno, sul Lago Maggiore.

Tutta questa passione per il volo da dove nasce?

Il seme venne gettato dalle imprese d’inizio Novecento da coloro che venivano definiti “I temerari delle macchine volanti”. I pionieri del volo, veri e propri audaci, eroi allo stato puro, che sulla scia delle prime conquiste tecnologiche, si spingevano anche oltre i limiti dei materiali a disposizione al tempo, diventando personaggi di culto e leggende.

Ciò che noi diamo per scontato oggi, a quei tempi faceva sognare, innescava voglia di conquista e di scoperta. La conquista del cielo era sempre stata un sogno e l’aeroplano divenne simbolo di questa nuova era, simbolo di libertà e indipendenza. Gabriele D’Annunzio, affascinato da queste imprese e che sarà a sua volta pilota, conia appositamente il termine “velivolo”.

L’Insubria, pochi lo sanno o pochi lo ricordano, è stata al centro di una delle imprese storiche del volo, una di quelle che ha segnato la storia dell’aviazione, al pari di quella dei fratelli Wright, di Bleriot e Lindbergh.

Il protagonista è il giovane francoperuviano Jorge Chavez (detto Geo), che sorvolò per primo le Alpi, per arrivare a Domodossola. E là dove la città è sfiorata dal fiume Toce, dove la strada si biforca per arrivare da una parte al passo del Sempione e dall’altra verso la Val Formazza, proprio lì, si è concretizzata una delle imprese più epiche e tragiche, della storia del volo.

Il suo tentativo riuscì solo in parte, perchè lui morì alcuni giorni dopo, per le ferite riportate nello schianto del suo aereo, a soli 23 anni. Una vita breve ma intensa, un amore per il volo che lo spinse ad andare oltre. Oltre quello che allora si pensava fosse possibile, oltre le Alpi, verso il cielo, cercando e trovando un’impresa che sembrava irrealizzabile, a solo sette anni dal primo storico balzo dei fratelli Wright a Kitty Hawk.

Jorge Antonio Chavez Dartell, nacque a Parigi, il 13 giugno 1887, dal banchiere Manuel Gaspar e Maria Rosa Chavez Moreyra, coppia molto agiata e benestante, che da Lima si era trasferita nella capitale francese, a causa della situazione politica che si viveva in Perù dopo la Guerra del Pacifico, del 1879. Grazie alla solida posizione economica della famiglia, il piccolo Jorge ebbe la possibilità di frequentare buone scuole, oltre a ricevere un’eccellente educazione da parte dei genitori, senza dimenticare l’importanza di una profonda fede cattolica.

Chavez studia prima nel Lycée Carnot, e poi nel Lycée Charlemagne, è un ragazzo aitante, che pratica sport: atletica leggera, rugby, ciclismo. Poi passa ai motori di ogni tipo e genere.

Alla fine del liceo, decide di studiare ingegneria e s’iscrive all’Ecole d’Electricité et Mécanique Industrielles Violet di Parigi, dove si laurea nel 1909. Nel periodo deve affrontare però anche la perdita di entrambi i genitori. Conosce l’aviatore Louis Paulhan, diventandone suo meccanico e motorista volontario, assistendolo nell’aprile 1910, nell’impresa del volo di 300 chilometri della Londra-Manchester e in altri progetti. Chavez prende il brevetto di pilota alla scuola di aviazione creata da Henri e Maurice Farman, alle porte di Parigi e compie il suo primo volo ufficiale il 5 febbraio 1910. Compra da Bleriot tre monoplani che userà nelle varie imprese.

Il 3 agosto 1910, a Blackpool, in Inghilterra, “Geo” supera il record mondiale di altitudine raggiungendo la quota di 1643 mt. Il 6 settembre 1910, due settimane prima della sua trasvolata alpina, stabilisce a Issy, vicino a Parigi, stabilisce un nuovo primato mondiale in altezza volando fino alla quota di 2652.

LA GARA DI “TRAVERSATA DELLE ALPI”

Questo Gran premio dell’aria è un’idea tutta “Made in Milano”: Nell’estate del 1910 il Touring Club Italiano, sotto la guida di Arturo Mercanti, con la collaborazione del Corriere della Sera e di un piccolo gruppo d’imprenditori lombardi e della neonata “Società Italiana di Aviazione” con sede a Milano in via Montenapoleone propose la sfida internazionale “Traversata delle Alpi” da Briga in Svizzera a “Milano-Taliedo”, da compiersi entro le 24 ore dal decollo dal 18 al 24 settembre, per un premio di 100.000 Lire del tempo da spartire. Valutabile in un milione e mezzo di Euro attuali. Il montepremi è così suddiviso: 70.000 al primo, 20.000 al secondo, 10.000 al terzo.

Il percorso nei cieli, prevedeva che i partecipanti partissero da Briga a 870 mt. Attraversassero la Valle della Saltina e della Diveria dove si trova la cima del Sempione, a un’altezza di 2.005 mt, quindi il passo del Sempione, a 1480 mt, da dove sarebbero poi dovuti scendere a Domodossola (227 mt), per una tappa di sosta- rifornimento, per proseguire poi da lì lungo il Toce fino al Lago Maggiore, a Stresa, Laveno, arrivare a lambire Varese, piegare verso Tradate, Saronno e dirigere poi verso Milano. Il percorso totale in linea d’aria sarebbe stato di circa 150 km.

Chávez fu il primo a iscriversi per compiere l’impresa, già il 18 agosto. Partì subito con diverse esplorazioni del percorso via terra e in auto. Essendo il culmine del Sempione situato a 2005 mt..

Il sorvolo pareva alla portata dei limiti tecnici teorici del suo velivolo, che era dello stesso tipo con cui Louis Blériot aveva compiuto la traversata della Manica il 25 luglio 1909, motorizzato milanese Anzani. La copia di quest’aereo si trova al museo della Scienza e della tecnica a Milano.

Per “Geo”, partendo da Briga, si trattava di superare un dislivello di 1325 metri. Il suo monoplano era Bleriot XI-2 denominato “Gipeto” dal nome di un rapace. Il modello identificato come 2, era una variante potenziata di quello che un anno prima aveva attraversato la Manica.

Era un gioiello della tecnologia aeronautica di allora, ma che a vederlo ora mette i brividi. E forse nessuno o quasi si metterebbe ai comandi.

Un apparecchio completamente in legno, lungo 7 metri, con un’apertura alare delle stesse dimensioni. Ali fatte di tela gommata, sostenute da due longheroni a sezione rettangolare in frassino e da centine in pioppo. La fusoliera formata da un’unica trave portante di legno a traliccio, senza teli o altro ai lati.

Il posto del pilota era aperto, privo di cabina e protezioni, lasciandolo in totale balia delle correnti d’aria, del freddo e delle intemperie. C’era solo un sedile di legno e vimini, senza cinture di sicurezza che lo ancorassero durante il volo. Le ruote ricordavano molto quelle delle carrozzine in voga fino a un po’ di anni fa. Il motore era uno Gnome Omega di 50 hp, radiale rotativo di 7 cilindri, di un modello che poteva arrivare al massimo a 90 km/h e azionava un’elica in legno laminato.

Alla gara di trasvolata delle Alpi, s’iscrissero in 9 ma 4 vennero esclusi dal Comitato organizzatore. Con Chavez, rimasero altri quattro, il tedesco Eugen Wiencziers, l’americano Charles Wymann, il francese Marcelo Pailette e Bartolomeo Cattaneo da Grosio (Sondrio), primo degli italiani, e sesto nel mondo, a conseguire il brevetto di pilota civile.

Chavez si preparò minuziosamente per tempo alla gara, allenamento fisico, attento a ogni minimo dettaglio sull’aereo e conoscenza quasi maniacale delle montagne da superare.

Sabato 17 settembre le condizioni atmosferiche non erano favorevoli allo svolgimento di attività aeree. Il giorno dopo, domenica 18 settembre, successe qualcosa che non era stato previsto dagli organizzatori della gara: il Governo Cantonale del Vallese, emanò un decreto che stabiliva la proibizione di realizzare voli, prima delle ore 16:00, sostenendo il rispetto assoluto del riposo domenicale e della santificazione del giorno di penitenza. Quella domenica il tempo era splendido, e la mancata gara aerea, dette vita a proteste non solo a Briga ma anche a Domodossola e su tutto il percorso, dove si erano già assiepate migliaia di persone.

Le proteste, non fecero smuovere le autorità cantonali, la proibizione decretata si mantenne senza variazione, e si arrivò a collocare delle guardie davanti ai capannoni installati nel campo di volo di Briga, al fine di impedire l’uscita degli aeroplani per il decollo. “Geo”, molto tranquillo a fianco di Duray e di Paulhan, approfittò del buon tempo per percorrere ancora una volta in automobile la strada tra Briga e Domodossola per prendere ulteriori appunti, oltre a farsi una passeggiata sul Lago Maggiore. Quella stessa domenica 18 settembre, dopo essere tornato dall’escursione, inviò un avviso ai commissari della gara, dicendo che il giorno dopo sarebbe partito comunque.

IL PRIMO TENTATIVO

Chavez, Duray e il suo meccanico, Mazeran, controllarono ancora tutto l’equipaggiamento necessario per il giorno dopo, e poi andarono a riposare nei loro alloggi. L’alba di lunedì 19 settembre presentò tempo buono. Chavez e la sua squadra alle 5.45, fecero uscire il Bleriot XI-2 e lo portarono a inizio della pista. Il giovane aviatore, effettuò l’ultimo controllo del suo apparecchio e si sedette al posto di guida, sistemando con cura il barometro, le mappe, oltre agli appunti e schizzi dei dettagli che lui stesso aveva preparato con molta attenzione.

Quando tutto fu pronto, alzò lo sguardo e fece segno a Mazeran di avviare il motore. Il rumore mise in allarme il pubblico che si trovava nel campo ed anche i commissari che erano arrivati in pista. Geo diede il segnale per far togliere i blocchi dall’aereo, che iniziò il rullaggio per il decollo che avvenne alle ore 6.16, di lunedì 19 settembre 1910, dando di fatto il via alla gara di “Trasvolata delle Alpi”.

Il Bleriot XI si staccò dolcemente dalla pista, e prese a salire in spirale per arrivare senza problemi fino all’altezza di 1.800 m. per toccare poi quota 2000, passando al fianco del ghiacciaio Aletsch, dove fu investito da forti raffiche di vento. Raggiungendo i 2.200 m, già sul Sempione, dove per evitare alcune nuvole, salì ulteriormente di quota portandosi vicino a quota 2.500 m., quando venne investito nuovamente da turbolenze varie, che lo fecero traballare in modo deciso. Si dovette aggrappare ai comandi per resistere e non essere sballottato fuori. In questa situazione, Chavez dovette forzare al massimo il monoplano per virare e iniziare subito una rapida discesa per ritornare al punto di partenza.

Così il primo tentativo di sorvolo delle Alpi, fallì a causa delle cattive condizioni atmosferiche trovate in quota, con forti turbolenze che avevano scosso violentemente l’aereo. Mentre Chavez riappare su Briga, si alza Weymann. L’entusiasmo del pubblico va alle stelle. Ma dura poco, perché il Farman dell’americano, cinque minuti dopo, riprende terra per le condizioni proibitive.

La stampa di tutto il mondo seguiva con il fiato sospeso i progressi dell’impresa. In prima linea ovviamente “Il Corriere della Sera”, il cui inviato di punta Luigi Barzini vive per giorni in stretta simbiosi con i piloti, e il francese “Le Figaro”, che ha sul posto il giornalista esperto di aviazione Frantz Reichlin. Presenti anche “La Gazzetta dello Sport” e “La Domenica del Corriere” che dedica ben tre tavole.

In Galleria a Milano, la folla segue da un grande tabellone le partenze e i tentativi degli aviatori. Il nome degli intrepidi piloti è sulle bocche di tutti, ripetuto da tutti giornali del mondo, oggetto di tutta la pubblica attenzione possibile del momento. Quel volo incarna il sogno di lasciarsi alle spalle per sempre i limiti della fragilità umana.

Chavez capì però due cose basilari. La prima fu che per la trasvolata delle Alpi era fondamentale conoscere le condizioni atmosferiche che si sarebbero incontrate, non solo in zona partenza e di arrivo, che avevano tempi e modalità completamente diverse, dai due versanti delle montagne, soprattutto capì che era importante comprendere cosa succedeva in quota, come spiravano i venti e la velocità che avevano. La seconda era che come disse: “Dare la vita per non ottenere niente sarebbe stupido. Darla per vincere, si che è bello”.

Jorge decise di riprovarci con un clima decisamente migliore. Il percorso da seguire vedeva delle linee rette. Da Briga dritto fino al Passo del Sempione, poi virata di quasi 90° a sinistra, per superare il punto più difficile e iniziare la discesa verso Varzo, da lì altra piega a destra di 90° per puntare su Masera e Domodossola, tappa intermedia del volo verso Milano, dove fermarsi fare rifornimento e controllare i mezzi. Il tutto con punti di riferimento segnati a terra, con indicazioni fatte da decine di metri di tessuto per indicare la via. I parroci delle valli issano bandiere bianche sui campanili per indicare il percorso, i contadini accendono fuochi con la paglia in modo che il fumo possa indicare la direzione del vento.

Il passo del Monscera è coperto di nubi e flagellato di continuo da raffiche di vento gelido. Al Sempione si registrano quattro gradi sotto zero: i fianchi delle montagne sono coperti della prima neve, scesa durante la notte.

Il perdurante maltempo a intermittenza per giorni, ai due lati delle Alpi, fece desistere dall’impresa il tedesco Wiencziers, il francese Pailette e Cattaneo.

Rimasero così in gara Chavez e Weymann, pronti a dare l’assalto al Sempione, appena il tempo si fosse sistemato.

L’IMPRESA

La mattina del 23 settembre, sul versante svizzero c’è calma.. Chavez vorrebbe partire, ma un forte vento domina il versante italiano. Sale in macchina per un ultimo sopralluogo: si guarda intorno, studia i venti del Passo del Sempione, osserva il campo di atterraggio di fortuna nei pressi dell’Ospizio. Paulhan, rientrando dalla sua esplorazione racconta che al Monscera la situazione è ideale, ma sul passo e sulle cime del Fletschhorn il vento è troppo forte. Chavez decide egualmente di tentare.

Il primo a partire è però Weymann, con il suo biplano Farman costruito apposta per la traversata. Tenta di salire compiendo anelli concentrici per innalzarsi il più possibile. Scompare fra le nuvole, ma dopo soltanto 13 minuti è costretto ad atterrare per le cattive condizioni del tempo.

La tensione è altissima, a Briga, come a Milano, a Domodossola dove sono attesi, ma anche in tutta Europa e Stati Uniti. I telegrafi e le poche linee telefoniche del tempo, rimbalzano la notizia dell’ennesimo fallimento.

Sei minuti dopo il rientro di Weymann, Geo Chavez dà ai suoi assistenti, tra cui Paulhan, il segnale di mettere in moto l’elica.

Il Blériot gira sul campo di lancio, poi si stacca da terra. Sono le 13 e 29, con sé ha un barometro, una bussola e un tachimetro. Al seguito per via terra, una colonna d’auto con meccanici, guide alpine, medici, l’inviato del Corriere Luigi Barzini sr., del Figaro e di altre testate mondiali.

Geo, solca i cieli verso l’impresa con il suo “Gipeto”.

Quattordici minuti dopo la partenza, l’aereo scompare dietro la cima delle montagne. Quattro minuti più tardi, alle 13.47, Chavez è il primo uomo a oltrepassare le Alpi su un mezzo più pesante dell’aria. Supera con relativa facilità il Passo del Sempione, ma le forti correnti vorticose sopra i ghiacciai del Fletschhorn e sopra le rocce del Pizzo d’Albiona scossero ancora in maniera pesante l’aereo, incrinandone molto probabilmente la struttura.

Viene visto nuovamente avvicinarsi al Sempione, quando gira prima intorno alla cima dello Staldhorn e dopo intorno a quella dello Shienhorn, arrivando a passare alla destra dell’albergo Sempione, a circa 300 m dalla cima. Superato il Sempione, Chavez vola sui campi dell’Ospizio, e lasciandolo, perde anche l’ultima opportunità di atterrare, come previsto dal regolamento della gara in caso di pericolo.

Passa poi sulle rocce del Gathenhorn, girando intorno al Seehorn, per penetrare successivamente nella gola, tra le pareti a strapiombo di questa e del Pioltone. Raggiunge due volte la cima del Pioltone. Arrivando dal Furgenn, viene colpito da una prima forte raffica prima di dirigersi verso Gondo. Lì può scegliere se puntare verso il Monscera o sboccare nella tortuosa valle del Toce.

Tra il Seehorn a sinistra e lo Tschaggmahorn a destra, viene sballottato forte dal vento. Colpi forti, imprevisti, di qui, di là, di sopra, di sotto… Un inferno. Che lo fa rimbalzare come una palla. Sbalzi improvvisi di altezza di cinquanta e sessanta metri.

Il vento lo porta verso terra, e un istante dopo lo riprende un’altra volta per scagliarlo in cielo… È qui, dove impegna duramente il telaio del Bleriot. Decide di non prendere verso il Monscera, ritenendolo pericoloso, puntando invece verso la valle del Toce. Sorvola Iselle, poi entra in Piemonte, passa Trasquera per puntare su Varzo.

Alle 14.11, l’aereo di Chavez è in vista del campo di atterraggio nella piana di Domodossola, appena dopo le montagne.

Ha ottenuto il suo successo è il primo uomo della storia a compiere la trasvolata delle Alpi, dalla Svizzera all’Italia.

A terra, sul campo di Domodossola, i suoi collaboratori hanno disegnato con del tessuto una grande croce di Lorena, per indicargli il punto migliore per l’atterraggio. I contadini accendono fuochi per indicargli il percorso. Chavez, maestro di discese planate, spegne il motore e si lascia scivolare dolcemente verso l’arrivo, verso il trionfo.

Ormai è ad un passo dall’impresa epica, vede la folla radunatosi attorno al campo per accoglierlo come trionfatore, a venti metri d’altezza riaccende il motore per attutire le ultime folate di vento.

Improvvisamente però, quando sembra proprio che il volo stia per terminare, sull’ampia superficie del campo di atterraggio, alle 14.14 dopo 41 minuti, a circa 15 metri d’altezza, dal Bleriot si ode un crack netto e distinto. Le ali si staccano e si piegano all’indietro. Il monoplano cade a picco, si avvita su se stesso e si schianta al suolo, scagliando il pilota nel vuoto.

Chavez non ha perso conoscenza, viene recuperato subito, da sotto i resti del “Gipeto”, portato in automobile all’ospedale San Biagio di Domodossola, dove è giudicato non in pericolo di vita. Ha fratture varie, soprattutto agli arti inferiori, ma le sue condizioni non sembrano così gravi. Dalle visite non emergono problemi interni; non ha emorragie e gli organi vitali funzionano tutti.

Il viaggio dal campo di atterraggio all’ospedale San Biagio è seguito da un lunghissimo corteo di ammiratori entusiasti per l’impresa.

Le linee telefoniche scoppiano, i telegrafi battono all’impazzata la notizia, che uscirà in prima pagina su tutti i giornali del mondo, raccontando dell’impresa ma anche dell’incidente, di quello che ormai è un eroe.

In ospedale riceve visite, legge telegrammi (tra i primi a congratularsi, lo stesso Weymann), riesce perfino a festeggiare con lo champagne la notizia che il Comitato ha deciso di assegnargli ugualmente un premio di 50.000 Lire. Gli dicono che la città di Domodossola erigerà un monumento sul luogo del suo atterraggio.

Durante la giornata, Chavez riceve la visita dei suoi amici Arthur Duray e Luigi Barzini, corrispondente speciale del giornale “Corriere della Sera”, quindi tocca ai corrispondenti dei giornali francesi “Le Temps” e “Le Journal”, entrambi di Parigi.

Nell’ospedale ossolano, dopo un primo momento di sollievo, le condizioni di “Geo” si aggravano improvvisamente dal pomeriggio del 25. La sera del 26, i medici avvisano telefonicamente i fratelli Chavez che le cose si mettono male. Da Parigi il fratello Juan parte con il wagon-lit. Arriverà a mezzogiorno, in tempo per abbracciare Geo e per ascoltare le sue ultime sconnesse parole: “Arriba, siempre arriba” cioè “In alto. Sempre più in alto”.

Il giovane pilota della prima trasvolata delle Alpi si spegnerà alle 14.55 del 27 settembre, a soli 23 anni per un arresto cardiaco, ma le circostanze non verranno mai del tutto chiarite veramente.

Lascia dietro di sé la memoria di una storia che diventa immediatamente mito.

La tragica fine del giovane pilota suscitò un’ondata di commozione in tutto il mondo, il poeta Giovanni Pascoli gli dedicò dei versi, vedendolo come un nuovo eroe dell’aria. La poesia “Chavez”, sarà poi inserita nella raccolta delle Odi.

Diverse le onorificenze che gli vennero conferite: medaglia d’oro della Città di Milano, medaglia anche da Stresa, targa d’oro da Varese. Monumenti, lapidi, piazze a lui intitolate nel giro di brevissimo tempo. Barzini raccoglierà le ultime parole sul letto di morte e i suoi articoli, vennero raccolti nel libro “Il volo che valicò le Alpi”, ripubblicato in occasione del centenario dell’impresa.

Giovedì 29 settembre, alla Chiesa della Collegiata di Domodossola, si tennero le esequie solenni. Una folla di gente comune e personalità, vestita a lutto, accompagnò il feretro, che venne ricoperto da stelle alpine, come estremo dono degli uomini delle montagne che aveva sorvolato.

Conclusa la funzione religiosa, i resti di Chavez furono trasportati, accompagnati da un continuo lancio di fiori, alla stazione del treno e messi su di un vagone diretto a Parigi. Sabato 1 ottobre 1910, nella chiesa parigina di Saint François, si svolsero le esequie francesi, alla presenza d’importanti personalità e autorità civili, militari, diplomatiche e religiose di tutto il mondo, oltre ad una folla immensa. Venne poi tumulato nello storico cimitero di Père-Lachaise, nella tomba di famiglia.

Nel settembre 1957 i resti mortali dell’aviatore furono rimpatriati dalla Francia, affinché fossero deposti in un mausoleo costruito appositamente per lui all’aeroporto militare di Las Palmas, nei pressi di Lima. A Lima si trova anche gran parte dei resti del Bleriot XI, che compì l’impresa sfortunata. Il principale aeroporto di Lima, inaugurato nel 1960, porta il suo nome. Le sue ultime parole “Arriba, siempre arriba”, sono il motto dell’aviazione peruviana. Monete peruviane, francobolli, celebrazioni ufficiali vengono riproposte ogni anno per la ricorrenza della nascita e della morte.

Alla sua memoria, Domodossola ha dedicato la sua aviosuperficie, Chavez – Marini.

Nel capoluogo ossolano, il museo comunale, ha una sala interamente dedicata ad alcuni cimeli dell’aviatore: gli indumenti utilizzati per il volo, quaderni, la maschera funeraria, un’ala del suo monoplano. Vi si trova inoltre la mappa a tutta parete del percorso seguito, corredata da numerose illustrazioni d’epoca. E’ possibile visionare una ricostruzione audiovisiva del volo di “Geo”, i panorami che ha sorvolato fino all’incidente. Il tutto sotto una grande immagine di Chavez accompagnata dal motto “Arriba, siempre arriba!”

Al Museo nazionale della scienza e della tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano è conservato un pezzo dell’ala del “Gipeto”, visibile nel percorso dedicato a Chavez nel Padiglione aeronavale.

Lo svedese Mikael Carlsson, ha ricostruito una perfetta replica funzionante Bleriot XI-2 “Gipeto” con cui “Geo” compì la trasvolata delle Alpi. Domenica 19 settembre 2010, il monoplano è stato portato a Domodossola, nel 100° anniversario dell’impresa. Carlsson nell’occasione il giorno 23 Settembre, alle 11 si è alzato in volo, sull’aviosuperficie compiendo alcune evoluzioni.

Lo stesso aereo, sempre nel 2010, nel ricordo dei cento anni dell’impresa è stato esposto per alcuni mesi a Volandia.

Si scoprì poi che il pezzo del Bleriot XI “Gipeto”, contrassegnato dal numero 547, quello di unione tra la fusoliera e l’ala, metteva in evidenza segni di una rottura precedente ma anche di una riparazione negligente fatta con chiodi…

Evidenziando come quel punto del monoplano, estremamente critico, sottoposto nel tentativo precedente e in quella giornata, a forti turbolenze e vibrazioni, oltre che a bruschi cambiamenti di quota, abbia poi subito un cedimento strutturale. La rottura in quel punto era comunque un problema frequente sui Bleriot del tempo. Ne vennero costruiti circa 1600 esemplari in breve periodo.

In questo sito tutta la storia di Chavez, con numerosi materiali multimediali, tra cui la riproduzione del percorso anche in 3d, il volo, mappe e anche un cartone animato a lui dedicato.

www.jorgechavezdartnell.com

Pubblicato su: www.labissa.com

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