Monteviasco in Val Veddasca, tra leggende, storia e aneddoti

 

Solo sette abitanti, in un piccolo borgo quasi incantato, tra le nuvole, dove si può arrivare solo “volando”.

Sopra Luino, s’insinua la Val Dumentina e da lì si giunge con una strada tortuosa in un ambiente selvaggio e per certi versi ancora incontaminato a Curiglia con la sua frazione montana di Monteviasco, proprio al confine con la Svizzera. Un borgo affascinante, fuori dal mondo, a quasi mille metri di altezza, per tanti versi più unico che raro.

Per arrivarci si segue appunto l’unica strada che sale da Luino per Dumenza, poi dalla frazione Due Cossani, si percorre a mezza costa il versante boscoso del monte Gradisea, quindi, dopo aver oltrepassato il monumento in ricordo della visita di San Carlo Borromeo, si arriva a Curiglia, dove termina la strada. Oltre non si può andare, le macchine qui si fermano e si entra in un altro mondo, fatto di natura e paesaggi unici, soprattutto arrivando alla frazione di Monteviasco, inserita di recente nel circuito dei borghi più belli d’Italia.

Monteviasco è un borgo isolato accoccolato a 930 metri di altezza, su di uno sperone di roccia del Monte Polà (1784 metri), sul lato a nordest del centro abitato di Curiglia, nel quale vivono stabilmente ormai solo una manciata di abitanti.

E’ un affascinante e caratteristico abitato in pietra, praticamente senza cemento, con le case basse dai tetti ricoperti da lucenti piode, addossate le une alle altre, vie e vicoli tortuosi in selciato, che s’inerpicano su e giù per lo sperone di roccia, tutto ben tenuto e ordinato, unica concessione alla pietra sono alcune lòbie, le caratteristiche balconate in legno.

L’unica via principale segue a semicerchio la costa della montagna e s’interseca con le altre che portano ai livelli più alti o più bassi per condurre ai pascoli circostanti. Troviamo la Strada Maggiore che diventa poi via delle Corti, ancora in parte coperta da pavimento di legno, la Piazza principale con la fontana e abbeveratoio, quindi immancabile il sagrato della chiesa con il suo campanile in pietra locale che svetta su tutto.

Affreschi religiosi alle pareti delle abitazioni, come nella tradizione montana dell’alto varesotto dei “paesi dipinti”, spicca anche una bella meridiana sulla facciata esterna della chiesa e a monte della stazione d’arrivo della funivia, un osservatorio astronomico. Sorto nell’estate 2009, denominato M42, dal nome di una nebulosa di Orione, scegliendo proprio Monteviasco, per la sua posizione privilegiata, isolata e libera dall’inquinamento luminoso della pianura. Nel borgo si trovano anche tre ristoranti e un ostello, che oltre ad una vista impagabile dalle loro terrazze, propongono una cucina improntata al territorio con castagne, frutti di bosco, funghi, cacciagione e particolare attenzione per i prodotti caseari. Qua le capre sono da sempre una risorsa importante, la nera di Verzasca è l’indiscussa regina di questi sentieri, ma troviamo anche la camosciata delle Alpi. Dal latte di queste due razze si ricava la Formaggella del Luinese, un formaggio dop con cui le valli del Varesotto e in particolare gli allevatori di Curiglia e Monteviasco hanno recuperato e codificato un prodotto del territorio, facendolo diventare un presidio slow-food. Ci sono anche le mucche che popolano gli alpeggi e i vari allevamenti sparsi tra Curiglia e Monteviasco.

La zona è comunque abitata anche da cervi, caprioli, camosci, mufloni, daini, cinghiali, lepri, non mancano tassi e volpi come diversi uccelli predatori.

Dal borgo si dipanano percorsi di trekking, sia estivo che invernale da effettuare con ciaspole, si gode di una vista spettacolare a tratti anche aspra che si apre sul Lago Maggiore e sulle Alpi, in particolare sulle vette vicine, quelle di Monte Lema, Tamaro, Cadrigna, Gambarogno, Gradiccioli e la Forcora, raggiungibili con diversi sentieri che attraversano altri alpeggi.

Monteviasco vive da sempre in un suo isolamento particolare, non essendo raggiunta da alcuna via di comunicazione stradale. Ci si arrivava solo percorrendo sentieri di montagna, poi tramite una bella, caratteristica e tortuosa mulattiera a gradoni ampi, lastricata, spesso a picco sula vallata, costruita a partire dal 1813 sotto la direzione di un sacerdote locale e terminata una decina di anni dopo. Inizialmente contava 1442 gradoni, ampliati poi durante il primo conflitto mondiale, quando si temeva un’invasione dalla Svizzera, e fu costruita la linea di difesa voluta dal Generale Cadorna. La scalinata con una camminata di circa un’ora, attraverso boschi di faggi, betulle e castagni porta a Monteviasco. Più volte è stata al centro di servizi televisivi e documentari da tutto il mondo per le sue caratteristiche e per la singolarità del luogo.

Dal 1989 Monteviasco e la valle sono collegate anche da una funivia che ha consentito di rivitalizzare e conservare il borgo, abitato attualmente da sole sette persone, che rimangono in pianta stabile anche in inverno. Fino a pochi anni fa i residenti erano ancora una ventina, tra cui due bambini che ogni giorno facevano avanti e indietro in funivia per andare a scuola.

Anche la storia della funivia di Curiglia-Monteviasco è particolare ed è nata praticamente sotto le telecamere. Negli anni Ottanta gli abitanti, per rompere il loro isolamento e per cercare di porre così anche un freno allo spopolamento cui andavano incontro da anni, arrivarono fino alla famosa trasmissione Portobello condotta da Enzo Tortora, per chiedere un mezzo che li agevolasse nei collegamenti con il mondo esterno. E si diede così vita al progetto della funivia, che con un balzo di 399 metri collega Curiglia, precisamente la località di Ponte di Piero posta a 544 metri, alla stazione di Monteviasco a quota 943, grazie a una cabina unica che può trasportare fino a 15 persone alla volta. Funivia condotta dall’apertura da Agostino “Silvano” Ranzoni, scomparso a inizio 2017 e che ha voluto fare il suo ultimo viaggio proprio nella cabina, per essere poi sepolto nella sua Monteviasco.

Le origini del borgo si dipanano fra leggenda e storia, come si confà a un luogo così insolito.

Secondo la leggenda, che ricorda il Ratto delle Sabine immortalato da Tito Livio, ma forse più, Sette spose per sette fratelli, Monteviasco venne fondata durante il dominio spagnolo in Lombardia, quando quattro soldati in fuga dall’esercito cercarono un posto isolato per sfuggire agli inseguitori. I nomi dei quattro erano Ranzoni, Morandi, Dellea e Cassina. Praticamente i ceppi principali dei cognomi della zona.

Arrivati ai piedi del Monte Polà, trovarono il posto adatto, riparato e lontano dalle vie di comunicazione principali, per la necessità di avere un riparo, i quattro iniziarono a costruire case con i materiali disponibili sul posto, legno e pietra.

Dopo aver risolto il problema del sostentamento, grazie all’allevamento del bestiame e alla coltivazione del terreno, cominciarono a sentire anche la mancanza delle donne.

I quattro avevano visto alcune ragazze nel borgo di Biegno (attuale frazione di Maccagno con Pino e Veddasca), situato nella stessa valle, ma di fronte. Una volta sistemate le case e preparati i doni per le future spose, il quartetto approfittando del momento in cui gli uomini del paese per l’estate andavano con le greggi agli alpeggi, misero in atto un piano. Arrivati a Biegno, con un po’ di fortuna e determinazione, rapirono le ragazze e le portarono a Monteviasco. Le campane di Biegno suonarono a martello per avvertire del pericolo e i parenti delle rapite, riunito un gran numero di persone, si avviarono verso il paese decisi a riprendersi le ragazze e punire molto severamente chi aveva osato fare ciò. Arrivati a Monteviasco, le ragazze, rassicurate dalla serietà delle intenzioni dei quattro briganti, chiesero ai parenti di rimanere nel paese come spose. E fino a qua è la leggenda.

Storicamente però si ritiene che Monteviasco nacque in concomitanza con gli altri paesi della Val Veddasca, grazie all’arrivo di un gruppo riconducibile alla popolazione Celto-Ligure, che s’insediò circa 3000 anni fa, ma probabilmente anche molto prima, in questa valle attirato dall’abbondanza di acqua, boschi e selvaggina. Col passare del tempo questo popolo iniziò a coltivare i terrazzi, creati con muretti a secco detti campitt, e allevò il bestiame nei pascoli sopra il paese.

La sua origine risale sicuramente alla preistoria, come dimostrerebbero i ritrovamenti di diverse incisioni rupestri databili all’età del bronzo, probabilmente anche già prima. Incisioni, coppelle e disegni che sono sparsi e visibili un po’ ovunque per il territorio in forme diverse. Alcune incisioni molto particolari e in bella evidenza sono sui massi vicini alla stazione di partenza della funivia a Ponte di Piero. Altri posizionati nei pressi dei mulini, sulle mulatterie e nei posti più interni. Reperti che sono presenti in un po’ tutta la zona dei laghi.

Le prime fonti storiche scritte su Monteviasco risalgono attorno al 1270. Una delle singolarità del borgo è quella di essere posizionato sulla linea di confine tra il varesotto e la Svizzera, demarcazione che per secoli è stata fonte di dispute e dissidi a tratti anche aspri. Delineata dal “Trattato di Friburgo” noto come “Pace perpetua” del 1516, cui risale il confine internazionale più antico del mondo tuttora esistente, firmato dalla Svizzera e da Francesco I, re di Francia e duca di Milano, che delineava i confini elvetici con quelli che sono le attuali province di Como, Varese e VCO. Ribadito poi con il trattato di Varese del 2 agosto 1752, questa volta tra l’impero austriaco e la Svizzera.

E’ da notare che Monteviasco, per l’economia del tempo, si trovava in una posizione favorevole, sia per il controllo del territorio, sia per traffici commerciali che portavano al lago, sia per quanto riguardava gli approvvigionamenti, la zona offriva anche la produzione di carbone. Oggi invece è del tutto tagliato fuori dalle comuni rotte economiche ed è per questo suo isolamento che è riuscito a conservare le sue caratteristiche rurali.

Prima del trattato austroelvetico, la sua popolazione era di 286 abitanti. La punta massima si raggiunse nel 1855 con 410 residenti, poi andò a poco a poco spopolandosi con l’avvio delle industrie a valle e in Svizzera, del turismo sul Verbano, passando così ai 278 nel 1931, quindi ai 147 nel 1971 per arrivare alla scarsa decina attuale.

Al centro del paese si trova la chiesa dei S. S. Martino e Barnaba, che è citata per la prima volta nel 1569 durante la visita di un prevosto, incaricato di visitare Monteviasco per conto di San Carlo Borromeo, in quel periodo Arcivescovo di Milano.

Allora era grande come una cappella, con il pavimento in legno, ricoperta da un tetto in piode e affrescata con rappresentazioni dei quattro Apostoli, alcuni Santi, la Beata Vergine con il Figlio in grembo,  Dio Padre e altri affreschi minori, di fronte c’era un piccolo cimitero non cintato com’era in uso allora. La chiesa era in cattivo stato di conservazione e per questo venne ordinato al parroco di provvedere. Con le due viste di San Carlo Borromeo nel 1574 e nel 1581 la situazione non era cambiata molto e fu solo nel 1683, quando il Cardinal Federico Visconti, nel corso di una visita pastorale, concesse a Monteviasco la possibilità di avere un proprio curato, che la chiesa iniziò il lungo cammino verso la ristrutturazione. Nel 1748 una visita cardinalizia descrisse una chiesa molto più vicina a quella di oggi, con un portico che la collegava alla casa parrocchiale e una torre campanaria con due campane.

Alla fine dell’Ottocento le campane divennero cinque, fino al 1944, quando furono requisite dall’esercito per fonderle e fu solo nel 1959 che poterono tornare al loro posto.

E’ da ricordare anche la visita pastorale del futuro Papa Paolo VI all’epoca in cui fu Arcivescovo di Milano, che nel libro di Jean Guitton Dialoghi con Papa Paolo VI racconta un aneddoto sulla fede e l’attaccamento degli abitanti alla propria chiesa: “Le racconterò un fatto di cronaca perché so che le piacciono. Quando ero a Milano, c’era un paesino di montagna dove si arrivava difficilmente (niente strade, neanche una mulattiera): Bisognava andarci a piedi. Ci sono andato. Era un paese molto povero. Leggevo sui visi sfiducia. Credevano che l’arcivescovo volesse portare via il loro parroco. Prima di partire chiesi a qualcuno: cosa vi serva, di che cosa avete più bisogno? Gran silenzio. Quello che ci servirebbe, disse uno, è un forno, perché non abbiamo il forno per cuocere il pane. Feci avere loro il denaro per costruire il forno. La fine della storia è anche più strana: prova come siano poco materialisti i cristiani e, tra parentesi, che una vita semplice, vuota e povera eleva lo spirito. Avevo dimenticato quelle persone e il loro forno. Poi ebbi occasione di chiedere se lo avessero costruito. Sa cosa avevano fatto? Poiché la campana del loro paese era stata portata via nel 1944, avevano comprato una campana”.

Oggi la chiesa ha un’unica navata con un ampio presbiterio rettangolare e due cappelle, una a destra dedicata alla Madonna del Rosario e la seconda a sinistra intitolata a San Martino, mentre alla sinistra dell’altare sospeso a mezz’aria si vede il pulpito dove il parroco teneva la predica nei giorni di festa.

Il complesso religioso più noto di Monteviasco è il Santuario della Madonna della Serta, situato alla fine della scalinata che porta al piccolo borgo, la cui storia secondo la leggenda iniziò nel 1712 quando, durante un furioso litigio tra i due fratelli Ranzoni per questioni di eredità, uno ferì l’altro con il falcetto a una gamba.

La ferita, già grave, s’infettò rapidamente e Giovanni, il fratello ferito, conscio che aveva poche speranze, promise alla Madonna del Rosario che, nel caso in cui fosse guarito, avrebbe eretto una cappella in suo onore. Il miracolo avvenne e fu costruito un tabernacolo con un affresco della madonna del Rosario che regge il Bambin Gesù. Nel 1790 Luigi Morandi, un quindicenne paralitico dalla nascita, che si era addormentato vicino alla cappella, vide in sogno la Madonna staccarsi dal muro e avvicinarsi, poi preso dalla paura, si alzò e si mise a correre verso il paese.

La tradizione orale ne ha tramandato il ricordo con un’ex-voto oggi conservato nella chiesa, con quello del dodicenne Maurizio Ranzoni detto il Cesare, che il 28 marzo 1689 fu travolto da una slavina, ma a un tratto si sentì sollevato da due forti braccia e fu salvato.

Nel 1890 il popolo chiese che la “sua” Madonna avesse una chiesa e grazie all’aiuto del Vicario Giovanni Masciardi e del parroco Ernesto Redaelli venne costruito un edificio a pianta ottagonale con cupola in zinco e ampie finestre.

La chiesa attuale risale al 1933, ha una pianta a croce greca e vi è l’affresco raffigurante la Madonna della Serta e l’ultima domenica di Maggio vi è celebrata la festa in suo onore.

All’esterno su di una targa di marmo ci sono incise le seguenti parole: “Benvenuto o passeger: sosta e riposa. Il monte rasserena e disacerba ogni segreta pena. Sosta per mormorar l’Ave Maria. Ti sembrerà così desser bambino, e sentirai la mamma a te vicino. Riposa e offri qui la tua fatica ch’è la croce dei poveri amica. Quando riprenderai la lunga via avrai con te la mamma tua Maria. Madre mia, fiducia mia. 24 Maggio 1959 – Consacrazione Parrocchia al S. Cuore di Maria”

Partendo dalla piazza a valle della funivia si possono andare a vedere i mulini di Piero, una delle testimonianze contadine più antiche della val Veddasca.

Per andare ai mulini di Piero si deve passare la funivia e tenere la destra, fatti pochi passi e dopo una cappelletta votiva, si arriva un bivio e a destra si prende la scalinata che in una cinquantina di minuti porta a Monteviasco, mentre a sinistra c’è il sentiero per i mulini, procedendo dritti e dopo aver attraversato il ponte si va in direzione di Piero.

Il paesaggio della natura incontaminata è unico, con i mulini, edificati nel corso del diciottesimo secolo, utilizzati per macinare il grano, restaurati nel 1997, che raccontano la storia del tempo passato.

I mulini si trovano appena sopra il torrente Giona, edificati con pietra e legno, inoltre nella bella stagione si possono incontrare animali al pascolo. Dalla seconda metà degli anni ‘80 sono stati via via recuperati.

E qui si trova anche un agriturismo, creato da una ragazza, che trent’anni fa decise di fare una scelta di vita lasciando la “Milano da bere”.

Dopo i mulini, un vecchio sentiero conduce a un altrettanto vecchio ponte in sasso che oltrepassa il fiume e sale nell’odierna frazione di Biegno, nell’altro versante della valle Veddasca.

Inoltre, poco più avanti, quasi alla stazione della funivia per Monteviasco, il fiume prima di continuare il tragitto che lo porta a sfociare nel lago Maggiore molto più a valle, da vita a delle piccole cascatelle molto scenografiche.

Zone che sono state anche per anni passaggio e rifugio per contrabbandieri di ogni tipo. Alla fine degli anni ‘60, la zona dei Mulini di Piero, praticamente abbandonata divenne anche una base per alcuni hippies, che presero possesso di alcune vecchie case contadine e le ricostruirono. Si mormora, ma poi nemmeno tanto, che questa zona e questi sentieri abbiano visto anche il passaggio e la permanenza di alcuni protagonisti degli “anni di piombo”.

Pubblicato su: www.labissa.com 

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