Angera, la leggenda della dea Cibele e il tema della Grande Madre

Domenica 9 ottobre alle 17:30, presso il Museo di Angera si terrà la conferenza “Cibele, la madre di tutti gli dei: testimonianze archeologiche in Lombardia”, a cura della Professoressa Anna Maria Volontè, archeologa, in qualità di Conservatore del Museo Civico Guido Sutermeister di Legnano.

E’ un incontro che indagherà il tema della ”Grande Madre”, dalle remote origini del culto nato in Anatolia, alla diffusione nel mondo greco e romano, oltre alle testimonianze della devozione alla dea in Lombardia e in tutta l’Insubria, con particolare attenzione alla Patera di Parabiago.

Cibele era una divinità dell’Asia Minore, adorata sia dai Lidi che dai Frigi, stanziati nella zona dell’Anatolia centrale. La dea era la “Grande Madre”, di uomini e Dei, quindi la prima fra gli Dei, la mai nata, l’eterna. La personificazione del principio generatore e fecondatore, inteso come forza femminile. Come tutte le Dee mediterranee e asiatiche era Vergine, ma nel senso antico, cioè quello di donna non sottomessa.

I suoi santuari erano ricavati nella roccia, su pareti scoscese, sulle montagne, in gallerie o tunnel, con gradinate che scendevano senza fine.

La dea era rappresentata su di un trono tra due leoni, con un ornamento a forma cilindrica sul capo (polos), coperta da un velo, e spesso con un melograno nella mano. Frutto dal duplice significato, che simboleggia sia la vita che la morte.

Era venerata a Roma con il nome di “Magna Mater Daeum Idae”, e in Grecia col nome di Rea. Era la dominante religiosa di tutte le civiltà euroasiatiche fin dal neolitico. La dea Cibele incarnava tanto la morte come la rinascita e Sant’Agostino afferma che la castrazione mirava proprio alla beatitudine futura, come culto della creazione e dell’asse vita-morte-rinascita.

La “Grande Madre” o “Madre Terra”, con le sue forze vivificanti e feconde e suoi miti, era in forme diverse anche al centro della religione druidica celtica. La stessa Pietra Nera di Pessinunte (Asia Minore) associata a Cibele e portata a Roma nel III sec d.C., immagine “conica” della montagna, simboleggiava l’elemento maschile, omphalolos, che é anche il significato simbolico dei megaliti eretti e dei cumuli celti. Si ritrovano inoltre uguali significati nella religione indù (linga-yoni) e forse anche nei campanili delle chiese.

Il culto di Cibele arrivò a Roma nel 204 a.C. quando dopo la battaglia con Annibale, i Romani lessero una profezia dei Libri Sibillini, che profetizzava la cacciata dell’invasore cartaginese quando la dea dell’Oriente sarebbe stata portata nella città.

Allora gli ambasciatori romani arrivarono a Pessinunte, antica città della Galazia, regione dell’odierna Turchia, presso l’odierno villaggio Ballihisar, e lì venne loro affidata la pietra nera che incarnava Cibele, e questa, dopo essere stata accolta a Ostia, fu poi collocata sul Palatino.

L’aspetto cruento dei riti e il carattere orgiastico del culto non si accordavano con la morale romana, al punto che il Senato regolamentò le cerimonie rituali, che all’inizio erano di ordine privato e diffuse tra le classi più abbienti.

I sacrifici si svolgevano solo nel tempio sul Palatino, ma ai Romani era vietato partecipare al rituale e, soprattutto, rivestire cariche quali sacerdote, sacerdotessa o assistenti vari, l’unica cosa concessa era la processione annuale e il bagno rituale, sempre sotto la supervisione di un pretore romano. La costruzione di un Tempio di Magna Mater cominciò nel 204 a.C., nella parte sud ovest del Palatino, e fu consacrato nel 191 a.C. L’edificio andò a fuoco due volte, nel 111 a.C. e, dopo la ricostruzione, nel 3 d.C. Fu riedificato in pietra e marmo da Augusto, che ne fu gran devoto, facendo immortalare l’amata moglie Livia in una statua nella veste di Cibele.

Sotto l’imperatore Claudio tutte le proibizioni vennero meno, con il riconoscimento come religione di stato, divenendo anche una delle divinità protettrici della casa imperiale. Cibele venne venerata fino alla vittoria del cristianesimo.

Le varie pratiche che si tenevano nel tempio, unite a cerimonie periodiche dove i fedeli si raccoglievano a pregare, si svolgevano al suono crescente più assordante di timpani e tamburi, mentre la danza sacra diventava sempre più frenetica e terminava in una serie di giri vorticosi su se stessi che portavano all’estasi mistica.

Anche le donne facevano parte del clero, ma con funzioni minori, e non erano delle classi più elevate della società romana.

Una danza e movimento ancora in voga oggi in quelle stesse zone della Turchia, dai monaci dervisci praticanti del sufismo, considerati saggi e asceti. Esistono molto confraternite di dervisci, in particolare l’Ordine dei Mevlevi in Turchia, pratica questa danza sacra, turbinante o roteante, tra l’altro molto scenografica, proprio per raggiungere l’estasi mistica come avveniva nelle celebrazioni per la dea Cibele.

Le cerimonie si svolgevano in due tempi tra marzo e aprile con il risveglio della natura. A fine Marzo veniva ricordata la morte di Attis con nove giorni di digiuno e astinenza, dopo i quali si celebrava la resurrezione del Dio, collegata al risveglio primaverile della natura, il 25 marzo, con le Hilaria, feste con musiche ossessive e assordanti, in un delirio orgiastico. A inizio Aprile si svolgevano i Ludi Megalenses. L’11 si celebrava la dedicatio del tempio sul colle Palatino.

Queste feste avevano un carattere propiziatorio per le attività agricole e contemplavano sacrifici di tori e montoni.

Alla dea Cibele, è legato anche uno dei più importanti ritrovamenti archeologici dell’altomilanese, noto come “la patera di Parabiago”.

Si tratta di un grande piatto d’argento massiccio del diametro di circa 39 centimetri con uno spessore di 5,1 cm, per 3,5 kg di peso, datato tra il II° e III° sec d.C. È decorato a sbalzo, con tracce di doratura, raffigurante il trionfo di Attis e Cibele su di un carro tirato da leoni, accompagnati dai coribanti e inquadrati da personificazioni cosmiche e legate ai culti orientali (tra cui Aion, Atlante, Tellus, Oceano e Nereidi). Era stata utilizzata come copertura di un’urna cineraria.

Venne rinvenuta a Parabiago nel 1907, durante gli scavi per le fondamenta lavori della villa dell’imprenditore e Senatore Felice Gajo, situata vicino all’attuale stazione parabiaghese e meglio nota come villa Ida Lampugnani, dal nome della moglie del senatore.

La patera rimase in possesso della famiglia Gajo-Lampugnani nascosta gelosamente nella cassaforte della villa fino al 1929, anno della scomparsa di Felice Gajo. In seguito alla segnalazione dell’Ing. Guido Sutermeister, appassionato di archeologia, cui è dedicato il museo di Legnano, fu requisita dalla Sovrintendenza ai beni archeologici della Lombardia, diventando bene di Stato.

L’originale della Patera è attualmente conservata nel Museo archeologico di Milano, mentre una copia è a Parabiago.

Il museo di Angera, situato in un palazzo del Quattrocento, in via Marconi, in centro alla cittadina lacustre, con i suoi pezzi di proto-preistoria e di epoca romana, si propone così come un centro interattivo e aperto, pronto a sfruttare ogni occasione, per mostrarsi ai suoi ospiti.

Domenica 9 Ottobre sarà ancora aperto per la giornata delle Famiglie al Museo e quindi Il MABA, Museo Archeologico dei Bambini–Angera, aderirà alla Giornata delle Famiglie al Museo, invitando tutti i piccoli archeologi del territorio dalle 11.00 alle 13.00 e dalle 14.30 alle 17.30 a sperimentare i giochi del Museo e a cimentarsi, clessidra alla mano, in GIOCHI E GARE AL MUSEO, il museo palestra della mente.

Nell’ambito del progetto MITO, MIO, IO Mani, testa, corpo alle prese con i culti antichi il MABA propone inoltre, alle ore 15.00, il laboratorio didattico LA DEA A RILIEVO. Disegni divini e tattili, con centro un disco di metallo, su un panno di feltro, con una punta a sfera, tra le mani di un bambino, e l’aiuto dell’Arteterapeuta Claudia Castiglioni e dell’Archeologa Melissa Proserpio.

Il laboratorio sarà gratuito, accessibile a tutti i bambini dai 5 ai 12 anni, ma è necessaria la prenotazione presso la Sala didattica del Museo.

Pubblicato su: www.labissa.com 

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