Simboli: Arona ospiterà l’arco di Palmira in 3D

Dopo Londra (nella foto, n.d.r.) e New York, l’Arco di Palmira arriverà ad Arona, nel contesto dell’evento internazionale Passing  through, moving forward, dal 29 aprile, di fronte al museo civico archeologico intitolato lo scorso settembre a Khaled al-Asaad, l’archeologo-custode del sito di Palmira, ucciso da un gruppo jihadista.

Alto più di cinque metri, il monumento, simbolo della storica città siriana distrutta dall’Isis, è stato ricostruito utilizzando immagini digitali e in stampa in 3D dall’Institute for Digital Archeology di Oxford ed è stato realizzato da una ditta di Carrara.

Il prestigioso New York Times ha inserito la riproduzione dell’Arco di Palmira tra le opere più simboliche del 2016 insieme alla passerella galleggiante di Christo The Floating Piers e se questo fosse vero, quest’anno potrebbe toccare al Lago Maggiore ricevere la clamorosa attenzione ottenuta l’anno scorso dal Lago d’Iseo.

I visitatori questa volta non cammineranno sulle acque, ma sotto un arco realizzato quasi 2 mila anni fa, e ricostruito oggi in scala, per un’esperienza unica e fuori dal tempo, purtroppo irripetibile nella città siriana dilaniata, come hanno già fatto migliaia di persone, a Trafalgar Square a Londra e successivamente al Manhattan’s City hall park di New York.

Dal porto statunitense l’opera salperà in questi giorni per raggiungere l’Europa attraverso l’Atlantico fino ad arrivare in piazza San Graziano ad Arona, con anche una mostra di approfondimento allestita nel museo archeologico che si affaccerà sul monumento.

Tutto è partito da una ragazza inglese che ha preso parte a uno stage estivo nel museo di Arona che, colpita dall’intitolazione dedicata a Khaled al-Asaad, si è ricordata del monumento esposto a Londra.

Arona è stata scelta come l’unica tappa italiana “Non ci siamo fatti scappare l’occasione” spiega il sindaco Alberto Gusmeroli “e di questo ringraziamo Olivia e suo padre Chris Neil-Jones, come anche Aleky Karenowska dell’Institute for Digital Archeology e la direttrice del museo Luciana Trovato, l’assessore Chiara Autunno e Nadia Pirali del Comune che hanno lavorato per raggiungere questo straordinario obiettivo. Sarà un ulteriore grande evento di fortissimo richiamo simbolico e turistico per la nostra città. E’ un esempio di come si possa ricreare quello che non c’è più, anche a seguito di eventi calamitosi, come i terremoti recentemente avvenuti in Italia”.

La distruzione di Palmira ha ferito l’umanità, ha tolto a chi verrà dopo di noi la possibilità di respirare il passato, quel profumo di storia senza cui noi non saremmo noi.

Oasi situata nel deserto siro-arabo a metà strada circa tra il Mediterraneo e l’Eufrate, Palmira dovette senza dubbio la sua origine grazie alla presenza nell’oasi di sorgenti, la cui acqua permise alle carovane la traversata diretta del deserto per la via più breve dal medio Eufrate a Ḥimṣ e a Damasco.

La prima menzione della città è nel secondo libro delle Cronache della Bibbia, VIII, 4, nella forma Tadmor, nome indigeno attestato dalle iscrizioni e conservatosi in arabo fino a oggi.

Durante l’età ellenistica Palmira deve essere venuta in contatto con lo stato seleucidico, che aveva stabilito una colonia macedonica a Dura, ma tali relazioni non sono documentate, e la prima notizia che le fonti classiche forniscono su Palmira si riferisce al saccheggio della città per opera delle legioni di Antonio nel 41 a. C., cui tuttavia gli abitanti sottrassero gran parte delle loro ricchezze, rifugiandosi con esse al di là dell’Eufrate, in territorio partico.

Palmira allora era sotto l’influenza politica del regno degli Arsacidi, benché conservasse rispetto a esso la sua indipendenza, che rientrava nel piano della politica orientale di Augusto, rivolta a stabilire relazioni non ostili coi Parti, pur senza stringere con essi un vero trattato di pace tra Roma e la Persia.

Palmira fu un territorio neutro, attraverso il quale si svolgeva intenso il traffico commerciale tra l’Oriente e l’Occidente, infatti le merci orientali, sia per via di terra sia risalendo il corso dell’Eufrate, venivano accentrate a Dura e di là trasportate a Palmira, dove si formavano le carovane che, attraverso il deserto e sotto la scorta di milizie palmirene, si recavano ai grandi mercati di Emesa (Ḥimṣ) e Damasco.

Il periodo di pace durato tutto il I sec. d. C. fu favorevole per l’incremento della ricchezza di Palmira, e se la guerra partica di Traiano cercò di modificare la situazione, la politica di Adriano diede maggior sicurezza al commercio della città che, visitata dall’imperatore nel 129, assunse l’epiteto di Hadriana.

Nel II secolo non solo la prosperità di Palmira era in continuo aumento, ma le sue società commerciali e bancarie istituirono filiali in tutto l’Oriente, e anche in Occidente, fino a Roma, in Pannonia, in Gallia, in Spagna.

Inoltre i suoi arcieri, esperti nella guerriglia contro i nomadi del deserto, si arruolarono nell’esercito romano, costituendo uno dei più validi elementi della sua cavalleria, gli arcieri palmireni sono attestati da iscrizioni sparse in tutto l’impero romano e in Africa, dove le loro qualità militari li rendevano preziosi nelle lotte contro i Numidi.

Il cambiamento della politica orientale romana avvenuto sotto Settimio Severo e continuato dai suoi successori tentò di fare di Palmira un centro nelle lotte contro i Parti, il cui impero si avviava allo sfacelo.

Tale politica, vanificata dall’avvento della dinastia dei Sāsānidi, se da un lato non fu molto positiva per gli interessi economici palmireni, dall’altra favorì l’autonomia della città, una famiglia che portava il nome romano di Iulii Aurelii  Septimii assurse a un notevole ruolo politico, dopo la rotta di Valeriano per opera del sāsānide Sapore I nel 258.

Come conseguenza della disfatta, un membro di quella famiglia, Odenato, mise in campo con successo le forze militari palmirene, ricevendo da Gallieno, per il suo intervento, i titoli d’imperator, di restitutor totius Orientis e di corrector totius Orientis, cui aggiunse quello di re dei re, evidente imitazione della titolatura persiana.

L’autorità di Odenato si estese gradatamente alla Siria e a tutto l’Oriente romano e quando rimase vittima nel 266-67, insieme col figlio primogenito, di una congiura, gli succedette il secondogenito Vaballato, sotto la tutela della madre Zenobia.

Sotto l’energica guida di Zenobia ci fu la rottura tra Palmira e Roma, infatti Claudio, il successore di Gallieno, impegnato nella guerra con i Goti, non riuscì a imporsi in Oriente, così il generale di Zenobia, Zabda, annesse a Palmira l’Egitto e gran parte dell’Asia Minore, e nel 271 Vaballato assunse il titolo di Augusto.

Un anno dopo il nuovo imperatore Aureliano inflisse ai Palmireni, presso Emesa, una disfatta decisiva, ponendo fine, dopo l’assedio della città e la cattura di Zenobia, al nuovo impero.

D’allora in poi la prosperità di Palmira andò declinando, per la guerra tra Sāsānidi e Romani con la conseguente diminuzione del commercio carovaniero.

La popolazione di Palmira era di origine araba, ma fin dalla prima colonizzazione l’elemento arabo dovette mescolarsi a quello arameo, se non forse addirittura furono coloni aramei a fondare il primo nucleo cittadino, compenetrando la popolazione araba.

Inoltre l’organizzazione sociale e politica, se da un lato ha tracce di arabismo, dall’altro appare fortemente influenzata da elementi greci, che si fecero durante il periodo seleucidico.

La costituzione di Palmira era quella di una repubblica aristocratica, nella quale le famiglie preminenti costituivano un senato, mentre grande importanza esercitavano le associazioni degli organizzatori di carovane.

Le iscrizioni palmirme, ammontanti a parecchie centinaia e in continuo aumento in seguito agli scavi in corso, sono redatte in un alfabeto derivato da quello aramaico, con una notevole somiglianza con la cosiddetta “quadrata” ebraica; accanto alla scrittura lapidaria si hanno anche forme corsive.

Molte iscrizioni sono bilingui, dimostrando che l’elemento ellenico o ellenizzato della popolazione doveva essere alquanto esteso e del resto Palmira, come emporio commerciale, doveva ospitare numerosi stranieri di varia provenienza.

Il dio adorato a Palmira viene chiamato, Bēl o Bāl, in cui si riconosce il Ba‛al semitico nella forma assunta a Babilonia accanto a Bēl figurano, come divinità associate, Aglibol e Yarkhibol, dove Bēl è rispettivamente rappresentato come divinità lunare e solare, oltre a Malakbel, il messaggero di Bēl.

Ma il carattere composito della civiltà palmirena ha introdotto altre divinità, come il dio del cielo Ba‛alsamēn, siro-fenicio, la dea madre sira Atar‛atē, la dea araba Allāt e il dio arabo Arṣū, protettore speciale delle carovane e altri.

Molto diffuso era il culto della Fortuna, con la doppia denominazione di Semeia e Gad e sembra inoltre che in questo culto ci si anche quello della divinità della sorgente di Palmira, alla quale la città doveva la sua origine.

I templi palmireni, nonostante la presenza delle forme greco-romane, conservano la struttura caratteristica del tempio orientale, con un grande cortile rettangolare contornato di edifici destinati ad abitazione dei sacerdoti e a deposito di arredi sacri, di derrate e di tesori e la cella collocata a una delle estremità lunghe.

Sviluppatissimo era anche il culto dei morti, come dimostrano le vaste necropoli con i caratteristici sepolcreti plurimi a forma di torre quadrata e dai numerosissimi busti sepolcrali, recanti un’iscrizione col nome del defunto seguito dall’esclamazione funebre ḥabēl, ahimé.

La prima notizia dell’esistenza delle rovine di Palmira arrivò dai a mercanti delle agenzie inglesi di Aleppo (1678 e 1691) e Cornelius Loos le disegnò nel 1710 per incarico di Carlo XIII di Svezia.

Fu solo nel 1930. dopo che venne spostato verso le sorgenti il villaggio arabo, situato nell’area sacra, che Palmira venne esplorata, con esito fortunatissimo dal punto di vista scientifico, come nel caso di 200 iscrizioni, fondamentali per la storia della città siriana.

Nella città s’intravede il caravanserraglio, partendo dal perimetro delle mura e dalla pianta, dove sono state ricuperate iscrizioni con elogi a conduttori di carovane.

C’è anche un teatro, che è probabile servisse come luogo di adunanza dei capi e dei notabili in occasione di deliberazioni o di feste religiose.

Un tempietto verso nord era dedicato a Baal Shamin e faceva parte di un complesso architettonico destinato al culto della stessa divinità.

Di altri templi, dedicati agli dei siriani Haddad e Atargatis, alla fenicio-babilonese Astarte-Ishtar, ai protettori delle carovane Arsu e Azizu, si hanno notizie epigrafiche, ma non si conosce l’ubicazione.

Gli scavi hanno accertato che le case private avevano spesso ampi peristili, infatti, le loro rovine attestano una buona posizione economica, mentre numerose sculture trovate nella necropoli mostrano i Palmireni e le loro donne vestiti di ricche stoffe, con gran profusione di gioielli e il costume è prevalentemente di tipo partico.

Pubblicato su: www.labissa.com 

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